Tripoli e il Gran Premio
Sono stato varie volte in Libia, ma la prima fu verso la fine degli anni ‘70. Re Idris Al Senussi, deposto dal colpo di stato del capitano Gheddafi circa dieci anni prima, si era ritirato in esilio al Cairo, gli italiani erano stati cacciati via e il paese versava in una situazione sociale e politica piuttosto delicata.
Ma per una serie di motivi io non ero per nulla preoccupato, solo molto emozionato per questo viaggio un po’ “diverso”.
Da piccolo, con mio fratello e i nonni materni, trascorrevano parte delle vacanze agli Altipiani di Arcinazzo, vicino Subiaco, nella tenuta dell’ex Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, Governatore della Libia durante il Fascismo la cui dura amministrazione riuscì a riunire le varie tribù ed etnie locali facilitando inconsciamente il compito a Gheddafi trenta anni dopo. Era una figura imponente e carismatica con una gran massa di capelli bianchi, seguito costantemente da due ascari in costume suoi fedelissimi e da due cagnolini anch’essi bianchissimi.
Per noi ragazzini era un semidio in sahariana e le storie che ci raccontava ci trasportavano nel deserto fra carovane di cammelli e combattimenti furiosi fra le dune con i touareg ribelli.
Mio padre lo aveva conosciuto in Libia dove aveva trascorso e lavorato vari anni prima della guerra, girando in lungo e il largo per il paese che conosceva molto bene. I suoi racconti, pieni di nostalgia, erano sempre affascinanti ed eccitavano la mia fantasia; ci narrava di imponenti rovine romane e di grandi oasi, poi il deserto, i graffiti rupestri del Fezzan, il Gran Premio di Tripoli, ….. insomma mi sono portato dentro per anni una grande curiosità e il vivo desiderio di andare a vedere. Ma non era così facile.
L’occasione arrivò inaspettata dall’ENI che mi offrì un ruolo di “osservatore” delle politiche locali per un breve periodo. Dovevo incontrare alcuni notabili e l’entourage di un certo … Patrizio! Nome in codice di Gheddafi.
Le comunicazioni, affidate allora esclusivamente alle telescriventi o ai ponti radio SNAM delle installazioni ENI, non erano affatto sicure e bisognava ricorre a codici prestabiliti. Che peraltro capivano tutti senza fatica!
All’aeroporto di Tripoli, dopo controlli interminabili, mi feci portare dal nostro autista (una spia), con precedenza assoluta e malgrado le proteste, sul percorso del Circuito del Mellaha, tra le saline e l’Oasi di Tagiura.
Da appassionato nostalgico alfista qual’ero confesso che mi commossi. C’erano ancora i resti della torre dei cronometristi e parte delle tribune e, soprattutto, chiudendo gli occhi, udivo il rombo poderoso di motori e il vocio della gente lungo il circuito mentre i volti dei piloti e tutte le vecchie foto ingiallite, viste e riviste nella mia collezione e ben chiare nella mente, stavano prendendo magicamente vita e smalto. Nuvolari, Varzi, Taruffi, i meccanici, le autorità, erano ancora tutti lì entusiasti e felici, inconsapevoli di quello che di lì a poco sarebbe successo.
Ogni incontro di lavoro, ogni cena, ufficiale o meno che fosse, erano motivo per cercare informazioni, ricordi, reperti di quella lontana epopea motoristica.
Tripoli era una città bellissima, esattamente come mio padre la descriveva. Molto simile a Latina o Sabaudia, certo molto più grande e ricca, ma lo stile del ventennio era quello. Viali alberati e portici per ripararsi dal sole e dalle piogge, eleganti caffè in stile liberty e tanti negozi e edifici con ancora insegne dai nomi italiani ma in mani ben diverse. Quanta malinconia allora e quanta tristezza oggi nel vedere in rovina, distrutto dai recenti combattimenti, tutto il bello che gli italiani avevano faticosamente costruito nell’arco di dieci anni e poi dovuto in fretta abbandonare.
Andai a trovare anche il Vescovo di Tripoli, un francescano dolcissimo, lungo lungo, secco e con una bella barba, Fra Michele mi sembra si chiamasse, con cui feci amicizia. Era tollerato più per le sue opere ospedaliere e di bene che per la sua fede che era comunque immensa. Un giovane prete che era con lui (faceva degli spaghetti con pomodoro e verdure buonissimi), appresa la mia passione per le auto e le cose vecchie, mi accompagnò in una specie di garage deposito sotto la Curia ove, tra quadri e statue di santi, crocifissi di ogni tipo e altari vari provenienti da chiese divenute moschee sollevò lenzuola polverose da alcune auto, una Fiat 522 degli anni ‘30, una Lancia Aprilia, una 600 e un paio di Moto Guzzi. Ma dietro di esse mi è subito balzata agli occhi una cassa con alcune scritte rosse Alfa Romeo molto sbiadite; dentro di essa un motore nuovo 6C 1750 Turismo!! ….. la cui storia, avventurosa e ancora “marciante”, ho raccontato qui.
Chissà che fine avranno fatto oggi tutti quegli oggetti molti dei quali lasciati alla Chiesa dagli Italiani scacciati via, forse con la speranza di recuperarli in seguito. Ricordo un grande quadro bellissimo dell’800 con una veduta di Napoli da Capri ….
L’ENI mise a mia disposizione una Giulia berlina con la quale percorsi varie volte alcuni tratti di strada del vecchio Circuito del Mellaha sopravvissuti, vicino alla ex base americana il cui aereoporto ne utilizzava il velocissimo rettifilo, e con cui nel tempo libero andavo a Leptis Magna, città natale di Settimio Severo, a Sabratha, Cirene e poi fino alle grandi oasi da solo o insieme a un collega della Montedison, Enrico Boetani portando il libro verde sempre in tasca e ogni autorizzazione delle autorità locali, tra cui quella fondamentale di Abdelsalam Jallud, allora braccio destro di Gheddafi, con cui ero entrato in buoni rapporti.
Un paese ricco e meraviglioso recentemente tornato alla barbarie e frantumato da una politica miope e dissennata di alcuni paesi europei appoggiati dalla totale e incolta cecità americana “per appoggiare la libertà e il risorgimento arabo”, ….. che in effetti è risorto in modo dirompente!
Stefano d’Amico
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Bel racconto, di una terra a me cara in quanto ci sono nato e vissuto.
Ora irriconoscibile e deturpata dai potenti.