Il mito dei Florio e della Targa
I fondatori della “stirpe” Florio, i fratelli Paolo e Ignazio, nacquero in Calabria, a Bagnara, e dopo il terremoto del 1783 si trasferirono giovanissimi a Palermo con bottega in via Materassai come “aromatari” ovvero venditori di spezie, acque, chinino, balsami, unguenti, coloniali. Si trattava di un commercio allora attraente e fiorente per dei mercanti accorti e intraprendenti quali essi furono in una città animata da antica consolidata aristocrazia e da ricche famiglie inglesi come i Whitaker, i Sanderson, Woodhouse, Ingham.
Con le generazioni successive, e sin dai primi anni dell’800, grazie al successo della loro attività di aromatari, con i figli Ignazio I e Vincenzo I, i Florio divennero via via finanzieri, banchieri, industriali, armatori e produttori di un vino eccellente “all’uso del Madera” che divenne poi il celebre Marsala.
E avevano ancora fonderie, fabbriche di ceramiche, imprese di ogni genere, tra cui anche una fabbrica di automobili (Panormitan,1907 e Beccaria-Florio,1912-1916), tonnare e moderne industrie conserviere (famoso il tonno in scatola di Favignana) con fiorente attività anche nelle isole Egadi, tutte e tre di loro proprietà. Nel 1868 le ricchezze dei Florio vennero valutate in oltre quattrocento milioni, un patrimonio straordinario da far impallidire persino i Rotschild.
Le dimore di loro proprietà furono quasi tutte affidate all’estro di Ernesto Basile e decorate nel più puro ed affascinante stile imposto ai tempi dall’Art Nouveau. Il Grand Hotel Villa Igea di Palermo ne rappresenta e conserva ancora oggi un fulgido esempio. Come amava dire Ignazio, i Florio erano Palermo e Palermo era i Florio. Leonardo Sciascia scrisse che vivevano “nel mito di uno splendido sperpero”! Loro ospiti erano i potenti del mondo, dai reali d’Inghilterra al Kaiser di Germania e allo Zar di tutte le Russie mentre i gioielli delle loro donne mettevano in imbarazzo regine e imperatrici. Nel 1845 la seicentesca Villa Butera, all’Olivuzza, fu presa in affitto dallo Zar Nicola I e dalla Zarina Alessandra cui i medici avevano consigliato un clima più caldo e assolato.
Sin dalla seconda metà dell’800 i Florio erano considerati tra i massimi imprenditori italiani e veri protagonisti della grande rivoluzione industriale che stava cominciando a trasformare non solo l’Italia ma l’intera Europa.
Nel Novecento si aprì l’epopea dell’ultimo Vincenzo (1883-1959), quello della Targa Florio, cognato di Franca, nata baronessa Jacona di Sangiuliano-Notarbartolo di Villarosa. La vera regina di Palermo con una vita tra cronaca e leggenda, bellissima ed elegantissima o, come la definì Gabriele D’Annunzio nel 1897, “bruna, dorata, aquilina, indolente. Un’essenza voluttuosa, volatile e penetrante emana dal suo corpo regale. Svogliata e ardente …. promette e delude”. I più grandi artisti dell’epoca, tra cui Giovanni Boldini, aspiravano a farle quei ritratti che oggi ne confermano il declamato splendore.
Fu donna di rara bellezza, distaccata, adorabile e seducente. Divennero leggendarie le sue toilettes, la numerosa servitù in livrea che lavorava in dimore lussuose sparse ovunque, le villeggiature nei posti più eleganti del momento, i vari panfili sui cui navigava e organizzava magnifiche feste, … senza accorgersi che i tempi stavano rapidamente cambiando e la loro leggenda inesorabilmente decadendo
Il mondo mutava velocemente e drasticamente; amministratori incapaci e disonesti nonché la mole dei debiti, sempre più numerosi, incalzavano senza sosta portando abbastanza rapidamente in altre mani tutte le attività di una famiglia un tempo “florida” e potente.
Sono rimaste le dimore monumento, molti cimeli, conservati nella Villa all’Arenella o in mano a musei e importanti collezioni private, le leggende, la rarissima rivista Rapiditas e le storiche Cantine Florio, oggi di proprietà della Ilva di Saronno, quella degli amaretti.
Quella dei Florio fu un’epopea breve, splendida e travolgente, oggi leggendaria; mentre invece il mito di Vincenzo sopravvisse e sopravvive con la Targa Florio, da lui ideata e organizzata sulle Madonìe sin dal 1906. Proprio agli albori dell’automobile e in una zona impervia della Sicilia, allora sconosciuta ai più, dove la miseria farciva il pane quotidiano e i contadini lavoravano la terra con gli stessi metodi che Omero descrisse nell’Iliade. Egli ideò e concepì la Targa insieme agli amici parigini Desgrange, Faroux, Meurisse quando ancora non esistevano né piste di collaudo né tanto meno gallerie del vento perché quella corsa fosse un laboratorio naturale e affascinante dove testare automobili e … caratteri!
E quella corsa, la Targa, organizzata da un Florio, uno dei personaggi più in vista dell’epoca, fece approdare a Palermo agli inizi del ‘900 le maggiori case automobilistiche con i piloti più famosi del momento, i giornalisti sportivi e mondani di mezzo mondo e con essi “il dernier cri dè Paris” mentre la città, un tempo sede del Regno di Sicilia, anzi delle Due Sicilie, tornò a vivere fasti ed eventi che portarono indubbi benefici persino all’intera Regione provocandone un graduale risveglio dagli antichi torpori.
Vennero coinvolte nell’impresa le più alte e rappresentative personalità, dalla Casa Savoia all’aristocrazia europea, varie istituzioni ed amministrazioni. Tutto come una perfetta macchina organizzativa, dai trasporti su piroscafi mercantili, ovviamente dei Florio, alle Ferrovie del Regno, dai Carabinieri Reali e l’esercito fino alla Croce Rossa; le Regie Poste e i telegrafi, … Nulla fu lasciato all’improvvisazione o al caso. E fu subito un successo.
“… Venga sicuro l’automobilista straniero fra le montagne di Sicilia, e se la sua macchina si arresterà fra le gole brulle e selvagge, non abbia timore; il montanaro non gli spianerà il fucile, ma gli offrirà la sua casa. Non gli chiederà la borsa, ma gli darà dei fiori di campo e si adonterà dell’offerta di un compenso venale … “ Così scriveva il barone Jacona della Motta, padre di Franca Florio, sulla rivista Rapiditas.
Sin dalla prima edizione, nel 1906, la gara siciliana si conquistò una grande risonanza internazionale e i costruttori europei, stimolati anche dall’entusiasmo della stampa ben attivata da Vincenzo Florio, cominciarono a parlare del difficile Circuito delle Madonie come il miglior banco prova per verificare qualità delle macchine e abilità dei piloti. La vettura che si aggiudicava la Targa vinceva anche sul mercato tanto era il successo che questa corsa, valida per il Campionato Europeo Velocità in Montagna, seppe riscuotere nel mondo intero. Nella seconda metà degli anni ’30 la situazione finanziaria dei Florio era giunta quasi di colpo al crollo e a Vincenzo non restava che un patrimonio assai modesto. Fu naturalmente abbandonato quasi da tutti e con molta tristezza e disappunto si ritirò per un certo periodo a Tripoli.
Ma forte del suo nome e appoggiata dal Governo la “cursa” continuò, pur con periodi alti e bassi. Alfa Romeo, Porsche e Ferrari la fecero quasi sempre da padroni sino agli anni ‘70 quando a causa dei sempre più frequenti incidenti la storica corsa venne sospesa, declassata e infine trasformata in Campionato Rally ed oggi rivive grazie alla passione dei collezionisti di auto storiche e dell’Automobile Club d’Italia che ogni anno ne rinnovano la tradizione e la leggenda. Si sono persi quegli antichi fasti che la resero celebre e le lussuosità di contorno, come oggi purtroppo impongono globalizzazione e decadenza…
Ma se ne parla e si sogna ancora.
Stefano d’Amico
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