XXI^ Targa Florio (4 maggio 1930)
La Bugatti, vincitrice delle cinque precedenti edizioni, giunse con le sue potenti e leggerissime 8 cilindri 2300 sovralimentate schierando vari piloti tra cui tre di grande esperienza: Divo, già vincitore di due edizioni della Targa, Conelli, secondo e terzo nel 1927 e 1928, e Chiron, giro più veloce nel 1928. Anche l’Alfa arrivò a Termini Imerese con un notevole squadrone formato oltre che dalle 6C 1750 Gran Sport compressore, vincitrici delle due ultime Mille Miglia, anche da due vecchie 8 cilindri P2 ampiamente aggiornate e modificate, soprattutto nel telaio, molto simile a quello delle 1750. Esteticamente si notava il radiatore di tipo piatto ma molto inclinato e la coda (che fungeva anche da serbatoio benzina) profilata a punta, tipo Bugatti, ma con una larga fessura al centro per alloggiare la ruota di scorta. I piloti designati da Jano erano Nuvolari, Varzi, Campari, Maggi, Ghersi. Tra loro le Maserati di Borzacchini, Arcangeli, dello stesso Ernesto Maserati e le OM di Minoia, Morandi, Ruggeri e Balestrero.
Florio, molto acutamente, aveva messo a disposizione di alcuni importanti giornalisti (Faroux, Meurisse, Canestrini, Bradley) persino la sua vettura personale, una grande Fiat torpedo con il numero “00”, guidata dal fido autista Mario con il permesso di circolare liberamente lungo il circuito e offrire un reportage dal vivo della corsa.
Poco prima della partenza però ci furono concitati movimenti ai box Alfa. Campari, pur abituato ad esibizionismi e ad imprese audaci, stranamente non se la sentì di guidare la vecchia P2 modificata in fretta e furia, non ben collaudata, potente (175 CV) ma poco maneggevole su un percorso tortuoso ed insidioso come quello della Targa. Inoltre, a differenza delle più comode 6C 1750 Gran Sport, il piccolo abitacolo della Grand Prix P2 era letteralmente un forno per il gran calore emanato dal motore, ovviamente anteriore, e dal serbatoio olio posteriore, per nulla mitigato dalle tipiche feritoie del coupe–vent, e pertanto, con il caldo che la giornata primaverile già preannunciava, condurla in una corsa già di per sé massacrante sembrava un’impresa estremamente faticosa per l’ “erculeo gladiatore” Campari. Jano comprese al volo il problema e offrì al pilota milanese la quarta 1750 Gran Sport di Ghersi, portata di riserva.
E toccò così a Varzi, pilota in ascesa, giovane ed ambizioso, salire sulla obsoleta vettura da Gran Prix che peraltro era stata sua sino a pochi mesi prima. Jano, sicuro che Varzi non ce l’avrebbe fatta, si premunì tenendosi Pietro Ghersi vicino e fermo ai box per sostituirlo nel caso in cui l’Achille non avesse resistito a guidare per tutti i cinque giri di 70 miglia ciascuno.
Fin dalle prime curve fu invece sorprendente la straordinaria facilità con la quale Varzi, forte dei suoi 26 anni, riusciva a dominare la grossa e potente P2 con il numero 30, come l’anno in corso, tanto che, dopo appena trenta chilometri, con le partenze delle vetture che avvenivano a tre minuti l’una dall’altra, aveva già guadagnato un minuto sulla pur fortissima Bugatti di Louis Chiron che lo precedeva. Alla fine del primo giro, con Varzi impetuosamente al comando, Nuvolari secondo e Campari terzo, c’erano le tre Alfa Romeo a precedere altrettante Bugatti. Al secondo giro, nell’entusiasmo generale, Varzi era ancora in testa tallonato da Chiron a quasi quattro minuti, mentre Nuvolari e Campari occupavano rispettivamente il terzo e il quarto posto. Al terzo giro ancora Varzi al comando, con Chiron in recupero a meno di due minuti, e dietro Campari e Nuvolari che si erano scambiati le posizioni. Il quarto e penultimo giro causò una certa apprensione perché la Bugatti di Chiron, in forte rimonta, si era avvicinata pericolosamente alla P2 di Varzi, solo questione di pochi secondi, con Nuvolari di nuovo terzo e Campari sceso al quinto posto. Ma Varzi continuava ad essere ancora in testa al quinto giro filando imperterrito come un treno con un vantaggio recuperato nei confronti di Chiron di quasi due minuti; Campari quarto con la terza rotta e Nuvolari quinto con l’avantreno in disordine (rottura occhio della balestra anteriore).
Giunse finalmente il quinto giro. L’ultimo! Ma la lotta per la vittoria era sempre molto incerta e la sofferenza vera doveva ancora arrivare. La P2, a causa dei sobbalzi per il manto della strada rovinato dalle piogge recenti, ruppe la cinghia che fissava la ruota di scorta centrale posteriore che si staccò dalla vettura e finì in terra causando però con il distacco anche la rottura del perno di ancoraggio che, a sua volta, causò la foratura del serbatoio benzina il quale iniziò a perdere senza pietà. La ruota di scorta fu poi raccolta dal giornalista inglese Bradley, testimone diretto dell’episodio insieme agli altri giornalisti sulla vettura di Florio e la P2, quasi a secco, cominciò implacabilmente a “sputacchiare“ e a rallentare.
Panico completo. Molti tifosi si erano precipitati sulla strada per incitare e cercare di spingere la zoppicante vettura ma furono subito allontanati dalle urla e dagli improperi dei due alfisti nervosissimi e atterriti di essere squalificati perché aiutati. Verso Campofelice, antica città di origine araba, con la P2 quasi a passo d’uomo, il coraggioso Giannella, meccanico di Varzi, senza scendere dalla vettura, afferra al volo da un meccanico dell’assistenza una latta di benzina e la rovescia nel serbatoio con la vettura in marcia ed in progressiva accelerazione. Chiron, per loro fortuna, era alle spalle attardato anche lui per un lento cambio di gomma operato dal suo meccanico alsaziano, stremato, in condizioni pietose, mezzo morto dallo spavento e pieno di lividi nelle costole per i pugni di Chiron infastidito dal suo terrore. Era la prima volta che affrontava una gara e che gara!
A bordo dell’Alfa però buona parte della benzina, con i sobbalzi e la velocità sempre crescenti, finì per essere rovesciata anche sull’enorme tubo di scarico arroventato prendendo subito fuoco e causando delle belle ustioni alle mani e alle braccia dello stoico Giannella che cercava di spegnere le fiamme con il suo stesso sedile mentre Varzi, senza fermarsi, continuava a guidare come un folle tutto chinato in avanti per lasciare spazio a quel poveretto mezzo fuori dal già ristretto abitacolo rischiando ogni momento di cadere ed ammazzarsi. E dimostrando comunque anche notevole coraggio e sangue freddo perché fermandosi avrebbe causato un gran rogo generale che avrebbe bruciato anche loro due già inzuppati di benzina mentre proseguendo a tutta velocità il vento allontanava sempre più le fiamme dalle loro spalle.
L’incendio per fortuna fu spento solo a forza di volontà e sacrificio ma si era perso quasi un altro prezioso minuto. “Varzi, al colmo dell’agitazione, passò con un frastuono d’inferno attraverso Campofelice correndo col fuoco dietro e si precipitò nel rettifilo, sembrava un razzo, … lungo il mare … tirando a 6500 giri … non era il momento di usare prudenza. … Le rosse macchine avevano vinto e l’Italia era entusiasticamente contenta” (W.F. Bradley su The Autocar, giugno 1930).
Le alte, ripetute, prolungate grida di entusiasmo dei siciliani, rapiti da queste esibizioni, tutti letteralmente assiepati sulla strada e sulle alture circostanti attorno a Cerda erano udibili come un’eco a chilometri di distanza e giunsero persino ai box Alfa dove tutti compresero e tirarono grandi sospiri di sollievo riconoscendo quel rombo crescente, lontano e familiare, che si stava avvicinando. Come tutto il mondo che contava e accorreva verso i box dell’Alfa, eccitato e commosso, ad applaudire il coraggio di Achille Varzi e la riconquistata supremazia di un’auto italiana.
Varzi trionfò con circa due minuti di vantaggio, vincendo pure 1000 sterline oltre a varie coppe e medaglie, e Louis Chiron ebbe il suo più che meritato secondo posto. Carlo Alberto Conelli giunse terzo con l’altra Bugatti rimasta in gara, Giuseppe Campari quarto e Tazio Nuvolari quinto. All’arrivo tutti inneggiavano all’Alfa Romeo.
“L’on. Gianferrari e Jano, attorniati dall’aristocrazia siciliana e dai giornalisti, ricevono complimenti ed onori anche da S.E. Italo Balbo giunto improvvisamente a Palermo per assistere al trionfo nazionale … … che ha segnato il ritorno alla vittoria di uomini e macchine nazionali” (Rapiditas, Vol. 9°- 1929/1930).
“La folla è in delirio. … L’Alfa Romeo rompe il ciclo delle vittorie della Bugatti, battendo clamorosamente tutti i records. Vittoria italianissima dell’uomo, della macchina, delle gomme” (Corrado Filippini su Il Littoriale).
Mai un’auto da corsa poté più lasciare le corse e le scene con maggior gloria contribuendo a rafforzare sempre più quei forti sentimenti di orgoglio di patria che generarono anche grandi tifoserie e forti entusiasmi per l’Alfa Romeo e i suoi spericolati indomiti piloti. Simboli di una Italia “nuova, operosa, fascista e vittoriosa”, creando così nuove passioni, sfrenate e accese, come quei potenti motori bialbero, che furono poi le vere basi da cui nacque il mito delle “rosse”.
La P2 (telaio n° 40015 – Motore n° 3632) con cui Varzi vinse l’epica Targa Florio del 1930 è quella modificata da Jano e conservata oggi al Museo Carlo Biscaretti di Torino (donata 40 anni fa dall’Alfa Romeo), forse meno bella rispetto a quella in livrea originale del Museo di Arese (pare ex Ascari) ma sicuramente più gloriosa. La P2 del Biscaretti ha una bella storia. E’ innanzitutto quella con cui Campari vinse a Lione nel ’24 e che lui usò privatamente in seguito, ottenendo vari successi, dopo averla acquistata dall’Alfa nel 1925 e lasciandola sempre nella sua forma originale, pur con qualche aggiornamento, fino al 1928, anno in cui si ritirò perché voleva mettersi a fare il cantante d’opera (ma la pausa durò poco!). La vendette per 75.000 lire a Varzi che desiderava una vettura più potente della sua Bugatti con cui aveva iniziato a correre in auto dalle moto aiutato con un prestito proprio dall’agente motociclistico della Sunbeam con cui gareggiava. Questa vettura corse ancora a Monza guidata sia da Varzi che dallo stesso Campari, che non aveva naturalmente mantenuto l’impegno di fare il cantante; e corse anche per tutto il 1929 ottenendo numerose vittorie finchè Varzi la rivendette a fine anno alla Casa ove Jano le apportò le citate modifiche, ancora oggi visibili, per la Targa Florio del 1930.
Nuvolari e Varzi
Tazio Nuvolari, “il mantovano volante”, nacque a Casteldario (Mantova) il 16 novembre 1892 e morì di malattia nel suo letto, suo malgrado, a Mantova l’11 agosto 1953. Piccolo e mingherlino ma di eccezionale resistenza fisica. Una gran massa di nervi. Gran tiratore, campione motociclista, ciclista, fumatore senza tregua, forte e temerario pilota protagonista di gesta clamorose e corse entusiasmanti che lo hanno trasformato in uno dei miti più esaltanti e più solidi della storia dell’automobile e dello sport in genere. Era solito indossare una maglia color giallo canarino: “Sono convinto che quella maglia mi meni buono. Se non potessi indossarla partirei scontento” (sic T.N.). “Guidava una Chiribiri, proveniva dalle moto. Quell’ometto spiccio e caustico mi impressionò tanto che continuai a tenerlo d’occhio e ad avvicinarlo ad ogni possibile occasione” (sic Enzo Ferrari). Provò a Monza la P2 sfiorando il record di Ascari e convincendo tutti delle sue doti, ma, per eccesso di foga, sbandò e si capovolse subendo gravi ferite. Lo diedero per morto, invece dopo tre giorni, tutto fasciato e ingessato dal suo medico di fiducia, anche lui mantovano, secondo sue precise istruzioni che dovevano tener conto della posizione da assumere sulla moto in corsa, si fece adagiare dai meccanici sulla Bianchi 500 e vinse, tra notevoli sofferenze fisiche, un incredibile ed esaltante Gran Premio delle Nazioni. La stampa e i tifosi andarono in visibilio e così nacque subito la sua leggenda, quella che ha riempito, sin da allora, pagine e pagine di giornali, interi libri e numerose monografie nel corso delle sue innumerevoli “attività”. Una vera enciclopedia cui rimandiamo l’appassionato lettore.
L’Achille nacque a Galliate (Novara) l’8 agosto 1904 e morì a Berna, al Gran Premio di Svizzera, il 1 luglio 1948, mentre era in prova con l’Alfetta 158 sullo stesso circuito dove, alcune ore prime si era ucciso anche Omobono Tenni con la Guzzi. “Guidava per la prima volta su una pista bagnata la 158 dotata di compressore doppio stadio. Una vettura che disponeva di circa trenta cavalli in più e che scaricava la potenza in maniera quasi brutale. Jean Pierre Wimille lo aveva appena superato …” (Cfr. Giorgio Terruzzi – Una curva cieca). Nel 1926, dopo vari successi con le moto, si cimentò, come anche Nuvolari, con una piccola Bugatti 1500, dipinta di verde, sull’Autodromo di Monza, dove, in memoria di Antonio Ascari, il Club dei 100 all’Ora, promuoveva alcune gare. Per essere ammessi a questo esclusivo Club gli aspiranti dovevano superare in una prova a tempo i cento chilometri di media sui dieci chilometri del percorso dell’Autodromo. E non era facile! tanto che la stampa, pur curiosa e feconda, deplorava per i continui incidenti questo tipo di assurda e anomala procedura di “ammissione”. Varzi fu soprannominato dagli amici e dai suoi tifosi “el legora”, la lepre. “Achille, calmo, regolare, preciso correva in testa dopo aver abilmente sfruttato le immancabili traversie degli avversari; Tazio, tutto fuoco, era sempre lanciato all’inseguimento nel disperato e sovente riuscito tentativo di rimontare” (Cfr. Cesare De Agostini). Gran fumatore, azzimato ed elegante, giocatore e cacciatore. Nel 1935 si innamorò pazzamente di Ilse, una giovane bellissima tedesca, moglie del pilota Auto Union Paul Pietsch, la quale faceva purtroppo uso di morfina e gliene offrì. Fu il tracollo (cfr. Giorgio Terruzzi – Una Curva Cieca). “Calcolatore, pedante, stilista e composto nella guida, come nella vita. A differenza di Nuvolari, che considerava l’automobile un mezzo di combattimento e di conquista, di gloria e di popolarità; per Varzi era invece uno strumento per soddisfare una esigenza interiore, per affermare la propria personalità, per soddisfare sé stesso” (Giovanni Canestrini). “In qualche gara da me osservata e vissuta, purtroppo da spettatore, ho trovato in Varzi una tale gamma di finezze stilistiche e tattiche che mi hanno veramente impressionato” (Felice Nazzaro).
Riportiamo anche un interessante articolo di Carlo Brighenti sui due Campioni, Nuvolari e Varzi, così vicini nello sport ma così tanto diversi nel carattere e nella vita, apparso su un supplemento mensile al Secolo Illustrato di settembre–ottobre 1933, nel periodo tra i più interessanti della loro carriera.
“Nuvolari o Varzi? Ci sono vari modi di considerare questa faccenda di superiorità fra Nuvolari e Varzi. C’è in primo luogo il modo della folla, che è bello, perché una folla vive anche di passioni, vive di entusiasmi, vive per delle idolatrie. Poi c’è il modo meno pulito di certi giornalisti, i quali se ne infischiano di Nuvolari o Varzi, ma accendono questi fuocherelli di San Giovanni per ragioni di tiratura dei loro giornali … C’è in ultimo il modo fatto di realtà. Ci sono in fatti nello sport dei momenti nei quali sulla bilancia dei valori stanno dei pesi che si equivalgono e la bilancia non sa da che parte pendere … E’ la bellezza di uno sport sano … ricco di campioni come lo sport fascista d’Italia. La Juventus che a metà campionato ha la vittoria definitiva in tasca … nuoce involontariamente allo sport perché lo appiattisce, gli toglie il fascino divino dell’incertezza. Il duello Guerra-Binda (famosi campioni ciclisti dell’epoca, N.d.A.), anche se muove dalle polemiche odiose e fa correre legnate davanti ai bar, è di grande utilità per la propaganda ciclistica. Lo stesso dicasi … del duello Varzi-Nuvolari. Con Varzi e Nuvolari noi abbiamo due campioni dal diverso temperamento, abbiamo un giovane ed un anziano, ma abbiamo però due astri fulgidissimi… Europa ed America ce li invidiano e noi non dobbiamo romper loro le scatole, non dobbiamo raffigurarceli come due cagnacci … pronti ad azzannarsi… Se Nuvolari vince, i benefici ricadono anche su schiere di operai che vivono nell’industria automobilistica italiana … Il fatto che Varzi corra per una marca francese, muta alquanto il termine …: avranno da mangiare operai francesi … Personalmente siamo convinti di trovarci di fronte, lo ripetiamo, a due grandissimi campioni, oggi i migliori del mondo. Vicinissimi a loro si possono mettere Caracciola, Borzacchini, Chiron, Fagioli e, quando vuole, Campari. Quelli che rimangono si perdono nella nebbia …”.
Stefano d’Amico
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