Ricordando Antonio Ascari
Il risultato strepitoso al Gran Premio di Francia corso a Lione il 3 agosto del 1924 e vinto da Giuseppe Campari fu solo l’inizio della grande epopea Alfa Romeo. Un nuovo trionfo attendeva le P2 il 19 ottobre a Monza, al Gran Premio d’Italia che, pur rimandato di un mese per scarsità di iscritti, non vide la partecipazione delle potenti Delage e Sumbeam che, sicure della sconfitta, neppure si presentarono. Le quattro Alfa, alimentate con il nuovo supercarburante “elcosina” realizzato al Portello in collaborazione con la Shell e iscritte per Antonio Ascari, Louis Wagner, Giuseppe Campari e Ferdinando Minoia, si classificarono, nell’ordine, ovviamente ai primi quattro posti.
Questa gara passò alla storia anche perché il mitico direttore di corsa, Arturo Mercanti, ordinò ufficialmente alla squadra Alfa Romeo di far rallentare l’andatura di Ascari, in testa con un largo margine e sicuro vincitore, sostenendo che secondo lui stava rischiando troppo e inutilmente!
Nel corso del 44° giro degli 80, Zborowski su Mercedes uscì fuori strada a Lesmo, sbandando su una macchia d’olio, e morì per le gravi ferite riportate. La Mercedes, in segno di lutto, ritirò le vetture (piloti: Werner, Masetti e Neubauer, futuro leggendario direttore sportivo della Casa di Stoccarda).
A Lione avvenne il ritiro dalle corse di Enzo Ferrari pilota con la scusa che stava poco bene ed era fortemente depresso ma in realtà, come onestamente confessò in seguito, aveva capito che si sentiva inadeguato per le potenze sempre crescenti delle grosse Alfa e preferiva fare dell’altro.
La stagione del 1925, quella che diede inizio ai Campionati del Mondo F1, vedeva quindi l’Alfa assai favorita; Ascari infatti si aggiudicò subito il Gran Premio del Belgio disputato il 28 giugno sul nuovo circuito di Spa davanti a Campari e senza più meccanici seduti al fianco come da allora stabilì il nuovo regolamento per i Gran Premi (non solo per ovvia sicurezza ma anche perché, detto e dichiarato apertamente, non ci voleva più andar nessuno!). Fu l’ultima vittoria del grande Antonio.
L’Alfa Romeo aveva ulteriormente potenziato per l’occasione le sue P2 montando due carburatori e migliorando i freni; la Delage invece dotò di compressori Roots ciascuna bancata del suo motore 12 cilindri a V, ma non fu sufficiente. Proprio a Spa si verificò infatti il famoso episodio della merenda divenuto ormai leggendario. Jano, infastidito dall’eccessivo nazionalismo e dai fischi del pubblico francese ormai abituato alle vittorie continue e prepotenti di Benoist e della sua finora imbattibile Delage ed ostile quindi alla impeccabile squadra italiana dell’Alfa per la propria efficienza e per l’evidente strapotere delle sue vetture, con una decisione repentina e bizzarra, fece fermare ai box i piloti, che comunque, detto fra noi, avevano un notevole distacco. I quali appena scesi stupiti dalle loro vetture furono invitati ad uno spuntino improvvisato intorno ad un tavolo imbandito in fretta e furia con salumi e vino, proprio davanti ai box in modo che tutti potessero vedere; mentre le vetture venivano rifornite, ripulite con studiata lentezza e controllate dai meccanici in ogni dettaglio, così che poterono presentarsi al traguardo non solo vincenti ma anche nelle stesse condizioni in cui erano partite!
Il 26 luglio il Gran Premio di Francia, disputato anch’esso su un nuovo Circuito a Montléry con 80 giri per 1000 km, fu offuscato dalla morte di Antonio Ascari; aveva solo 36 anni. Il forte pilota, che se ne andò immediatamente in testa, giunto al ventitreesimo giro, chi dice per un problema della vettura che già da alcuni giri aveva iniziato a ondeggiare, chi invece sostiene per l’asfalto reso viscido dalla pioggia che iniziava a cadere, perse il controllo della P2 al velocissimo curvone della Hostellerie Saint Eutrope che per 22 giri aveva affrontato sempre a circa 180 kmh (!), urtò la staccionata, uscì di strada, si capovolse e morì mentre veniva trasportato in ospedale. L’Alfa decise il ritiro immediato della squadra in segno di lutto, sebbene, dopo l’incidente, Campari si trovasse nettamente in testa. Jano ricordò nel corso di una intervista al giornalista Griffith Borgeson che Nicola Romeo, ritirando la squadra proprio in un momento in cui erano fermi ai box sia Campari sia Brilli Peri, gli disse: “Jano, qui non si corre con un morto in casa“. Jano, turbato e commosso, diede ordine ai meccanici ai box, schierati sull’attenti a fianco delle loro vetture, di imballare i motori delle due P2 allo spasimo come ultimo saluto al grande pilota (Luigi Fusi, ancora negli anni ’80, ricordava con gli occhi lucidi che i contagiri andarono ben oltre i 7000 giri consentiti!) per poi tacere tutto il giorno con grande tristezza ed emozione dei presenti e degli stessi spettatori ammutoliti.
Un rombo lacerante che anche molti giornalisti presenti, e lo stesso Ferrari, ricordarono per anni.
A fine corsa Benoist e Wagner, vincitori della gara, si portarono con le loro Delage sul luogo dell’incidente e deposero sul terreno le corone di alloro e i fiori loro assegnati per una vittoria non certo meritata.
Antonio Ascari, nacque il 15 settembre 1888 in un piccolo paese, Bonferraro di Sorgà, in provincia di Verona, assai vicino a Castel d’Ario (solo 4 chilometri) in provincia di Mantova, dove poi nacque Nuvolari quattro anni dopo.
“Le due famiglie si conoscevano e discendevano da ceppi molto vicini” (Enzo Ferrari). “Non molto alto, atletico, biondo, elegante, di grande capacità negli affari… lo chiamavamo ‘il Maestro’ … devo riconoscere che la mia vocazione non tanto di pilota, ma di commerciante, di faccendiere in quell’ambiente appassionante fu dovuta in gran parte al suo esempio. Era un carattere fortissimo e generoso … con lui era impossibile mettere mano al portafoglio” (Enzo Ferrari). Dopo aver lavorato a Milano come meccanico, passò alle Officine De Vecchi, dove si costruiva l’omonima vettura, come capo reparto riparazioni, con la quale iniziò a correre nel 1911 alla Sei Giorni di Modena. E in quell’ambiente conobbe Ugo Sivocci che gareggiava anche lui con la De Vecchi (Targa Florio del 1913). La De Vecchi (1905–1919), una interessante vettura che fu venduta persino in Russia, fu assorbita nel 1920 dalla C.M.N. ed Ascari, notato da ‘quelli’ dell’Alfa, in particolare da Sivocci, passò al Portello.
Fu rappresentante generale dell’Alfa Romeo per la Lombardia con Concessionaria a Milano in via Traiano. “Sotto la sua spinta innovatrice si arrivò alla costruzione delle ES Sport che diedero alla Casa milanese i primi successi e la prima notorietà commerciale” (sic Enzo Ferrari). “Audace e di temperamento improvvisatore, un vero garibaldino, come noi diciamo in gergo di quei corridori che antepongono coraggio e carica emotiva allo studio scrupoloso del percorso, che le curve le indovinano ogni volta, cercando giro per giro di avvicinarsi il più possibile ai limiti estremi di aderenza” (Enzo Ferrari). Fu idolatrato anche lui da tutti gli appassionati sportivi.
Giulio Ramponi, famoso meccanico dell’Alfa, ricordava che la sera prima del Gran Premio di Francia Ascari era nervosissimo e gli chiedeva continuamente se avesse controllato questo o quello sulla sua P2, cosa che non aveva mai fatto; “quell’uomo aveva qualcosa che impressionava” (Giulio Ramponi), come anche annotava Cesare de Agostini su un interessante volumetto del 1968.
Esiste però anche un’altra versione, purtroppo abbastanza accreditata da vari testimoni dell’epoca, sui motivi della morte di Antonio Ascari al GP di Francia narrata dalla vedova, signora Elisa, in una nota intervista del 1952 al giornalista Lamberto Artioli della Gazzetta dello Sport. “A Montlhery alcuni spettatori, rendendosi conto che Ascari avrebbe nuovamente vinto, seccati dallo strapotere italiano e dall’affronto dell’anno prima, lanciarono sulla pista in un punto isolato del filo spinato che serviva per delimitare la pista stessa ma che, attorcigliandosi al mozzo ruota, impedì al pilota di girare causandone lo sbandamento, il capovolgimento e la morte”. Anche il figlio Alberto confermò questa versione del filo spinato attribuendo però, forse diplomaticamente, la sua presenza in pista all’incuria o al fato e non ai tifosi degli assi locali. Un fato impietoso e costante però che colpì anche Alberto, Campione del Mondo di F1 con la Ferrari nel 1952 e 1953, a Monza il 26 maggio del ’55 mentre provava per gioco poco prima di pranzo, in giacca e cravatta, una Ferrari 750 Sport. Era di maggio e aveva anche lui solo 36 anni, come il padre.
Stefano d’Amico
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