Giorgio Franchetti … chi era costui?
In questi ultimi anni, per una serie di motivi facilmente intuibili, si tende a parlare esclusivamente di tutto ciò che è recente, moderno, accessibile, visibile e riconoscibile dimenticando o volutamente ignorando ciò che è stato o comunque è servito a costruire il presente.
Certo è più facile, si fa prima, si risparmia tempo e costa meno; in tutti i sensi. E i più giovani, smaniosi nel loro tempo prezioso e incalzante, ne sono maggiormente coinvolti. E’ più facile essere distratti, è più semplice informarsi sul web piuttosto che sullo studio e l’esperienza tralasciando così la cultura e la ricerca per dirigersi verso metodi di approccio rapidi, immediati ed economici. Ma si perde anche il passato e spesso si trasforma la storia a proprio piacimento.
Nelle auto storiche accade esattamente lo stesso. Oggi si parla maggiormente di young timer o di instant classic e si dimentica quello che è stato l’inizio di una passione così particolare ed esclusiva, quella old timer nata invece in un ambiente raffinato, colto e brillante. Quello che ha costruito questa storia. Quello animato da pochi estroversi personaggi che hanno dato vita alle loro passioni piuttosto che ai loro interessi.
Giorgio Franchetti era uno di questi.
Giorgio Franchetti Jr. (1920-2006). Tutti quelli delle auto storiche oggi ne scrivono e ne parlano, gli si intestano premi e si organizzano raduni motoristici a suo nome ma mi sono reso purtroppo conto che nessuno del settore sappia in realtà chi fosse o cosa abbia fatto.
I Franchetti furono tutti personaggi incredibili ed eclettici; nominati baroni da Vittorio Emanuele II nel 1858, vantavano ricchezze ed amicizie internazionali di enorme spessore. Il nonno Giorgio, discendeva da una antica famiglia di banchieri, i Rothschild, e furono finanziatori delle campagne risorgimentali. Abilissimo imprenditore agricolo, industriale, proprietario di immense tenute, uomo coltissimo e grande appassionato d’arte, acquistò nel 1894 Palazzo Contarini a Venezia, meglio noto come Cà D’Oro; lo restaurò totalmente, ne fece la dimora della sua importante collezione di opere d’arte e nel 1916 la donò allo Stato Italiano. Persino a Cortina d’Ampezzo, sciando dal Faloria per l’entusiasmante e ripido Canalone Franchetti, non si può non pensare alla grandeur di questa illustre e facoltosa famiglia.
Lo zio di Giorgio, Raimondo, fu uno dei più importanti esploratori italiani; viaggiò ovunque ma particolarmente in Africa, che conosceva a menadito, e nel 1928 vi scoprì la Dancalia, terra allora del tutto ignota tra l’Etiopia e l’Eritrea (oggi Afar, ed ex AOI-Africa Orientale Italiana). Da uomo abilissimo, anche in azioni di intelligence, si adoprò con gran successo per conto del governo Mussolini proprio in quelle zone. Cadde nel 1935 insieme al Ministro dei Lavori Pubblici, On. Luigi Razza, con l’aereo diretto ad Asmara ed esploso in volo in Egitto, nei pressi del Cairo dove aveva appena fatto rifornimento; pare per sabotaggio di agenti inglesi interessati anche loro al controllo di quei ricchi territori. La figlia Afdera (nome ripreso dal vulcano della Dancalia), donna affascinate e coltissima, cugina di Giorgio Jr., sempre sulle pagine dei più importanti rotocalchi del mondo, sposò nel 1957 l’attore Henry Fonda e oggi è ancora una vivacissima e brillante novantenne.
Il nostro Giorgio, detto Junior, meno viaggiatore e intimamente romano, dedicò invece la sua vita alle auto d’epoca e all’arte, in particolare le Avanguardie e il Futurismo, di cui fu illustre collezionista ed esperto valentissimo. Nel 1986, per conto della Fiat e in particolare dell’avvocato Agnelli, di cui era molto amico, ideò e promosse una magnifica ed importante mostra, Futurismo & Futurismi, fondamentale per il movimento, tenutasi a Venezia in Palazzo Grassi. A metà anni ’50 fondò a Roma con Plinio De Martiis la celebre galleria d’arte “La Tartaruga”, illuminato ritrovo di artisti, critici, letterati e intellettuali di ogni genere, scoprendo e sostenendo, da vero e grande mecenate, gli artisti Burri, Fontana, Rotella, Schifano, Angeli, Pascali, Bonalumi (quello del monumento all’Alfa Romeo), Castellani, Cy Twombly (fidanzato con la sorella Tatiana detta Tatia, che poi sposò), Manzoni (quello della merda d’artista), Tano Festa, Scialoja, ecc. (da lì nacquero la Scuola di Piazza del Popolo e il Gruppo degli Anacronisti). Vulcanica animatrice dell’iniziativa fu la pittrice Giosetta Fioroni, allieva di Toti Scialoja.
Fu anche promotore del Museo Storico Militare della Cecchignola a Roma, cui donò numerose ed importantissime vetture e vario materiale documentale. Ma per me, appassionato di auto e motori, fu un maestro e un idolo. Lo conobbi per caso, ovviamente a Roma, nei pressi di Ponte Flaminio, anzi quasi sotto il ponte stesso, verso la fine degli anni ’60. Il posto era equivoco, certo, ma era di giorno e non di notte ed io me ne stavo tornando a casa dall’Università inseguito fin da viale Parioli da una strombazzante Autobianchi Primula di un improbabile colore verde smeraldo. Poichè guidavo quello che tutti (familiari per primi) definivano un vecchio catorcio fumoso, ritenni di aver fatto qualche scorrettezza (mi accadeva spesso) e alzai una mano in segno di scusa o saluto. Niente, fui bloccato quasi all’americana. Qui mi menano, pensai subito e bellicoso com’ero misi mano a una bella chiave inglese che era sotto il sedile per ogni emergenza. Aprii quell’immane sportello al volo, lasciandolo anche aperto, non si sa mai, … ma dalla Primula scesero due distinti signori, uno più anziano, distinto e claudicante, con impermeabile chiaro Acquascutum e coppoletta inglese a quadretti, e un altro più giovane dall’aspetto elegante e scanzonato. L’anziano esordì subito con voce un po’ stentorea ma autoritaria e dandomi del tu “senti giovanotto, lo sai che stai guidando un’opera d’arte? anzi una leggenda? devi rispettarla e trattarla come si deve!”. Questo è matto, mi dissi stringendo la chiave più forte, … ma l’altro, con le mani in tasca, sorrideva e se la godeva. Per farla breve si presentarono; il giovane si chiamava Francesco Santovetti, altro grande appassionato collezionista romano, e il più anziano era Giorgio Franchetti. Dopo qualche chiacchiera più rilassata, mi invitarono per un aperitivo che finì con un pranzo al vicino Circolo Canottieri Aniene dove, in loro attesa, c’era anche un altro bel tipo con baffetti sottili all’inglese, Lamberto Morini, antiquario e bon vivant. Ero piuttosto smarrito da tanto profondo e ironico sapere ma anche dalla simpatica gentilezza e allegra disponibilità di questi bei signori nei miei modesti confronti; e per farla breve sin da allora nacque una magnifica lunga entusiasmante amicizia durata fino alla loro scomparsa. La scomparsa di un mondo davvero stupendo, oggi quasi surreale e, certo, del tutto irripetibile.
Negli anni ’60 e ’70 Roma era proprio una città affascinante, pulita e fiorita, viva e gaudente, … senza buche e senza guai; la gente, assiepata ovunque nei caffè alla moda, sorrideva e se la godeva; via Veneto splendeva di luci come di belle donne e di belle auto. Si parlava del nulla e si ascoltava il nulla. Nel parco di Villa Borghese ed esattamente nei giardini del Pincio, in piena primavera e prima del Concorso Ippico Internazionale, il giornalista Sergio Favìa Del Core, editore della rivista “Motor”, organizzava un evento di gran successo, il Motor Show. Era una manifestazione attesa e suggestiva abbinata a sfilate e concorsi di eleganza per auto e moto, antiche e moderne. La città era una vera Capitale, colta, piena di entusiasmo, attraente e brillante. Franchetti ne era un protagonista indiscusso, gli artisti pendevano dalle sue labbra e dalla sua generosità mentre “quelli delle auto vecchie” erano i suoi amici d’avventura.
Il cinema e l’alta moda erano allora i simboli caratteristici di quella che venne chiamata la dolce vita. Purtroppo di quella vita e di quei tempi oggi non esiste più nulla, a malapena uno sfumato e lontano ricordo da parte dei sopravvissuti. Ed io, complici questi amici più grandi ed esperti di me, ne ero un giovanissimo curioso frequentatore, ignorante ma attento, con vivo disappunto dei miei che spesso, tornando assai tardi, mi chiudevano persino fuori di casa. E finivo per dormire nel catorcio. Di Giorgio Franchetti, antesignano delle prime forme di cultura e di passione per il motorismo storico, movimento nato a Roma nei primi anni ’50, fui ammiratore e umile ma attento discepolo. Con lui altri colti antesignani come i fratelli Gianni e Nicola Bulgari, Mario e Valerio Moretti, Lamberto Morini, Giorgio Marzolla, Francesco Santovetti (con cui nel 1962 fondò il Registro Italiano Alfa Romeo-RIAR), Roberto Bonazzi, Edo Ansaloni (scomparso di recente; fondatore del Museo Memoriale della Libertà a San Lazzaro di Savena, nei pressi di Bologna). Famose le loro gite ai Castelli e le soste al ristorante Vecchio Fico di Grottaferrata. Mentre invece i giornali dell’epoca, anche alcuni di settore molto noti, irridevano questi eccentrici personaggi ignorando completamente quello che di lì a poco sarebbe diventato non più un argomento ludico di intima e genuina passione ma uno strumento di vero e intenso business. Anche per editori e giornalisti. Un business certamente assai lontano dallo spirito iniziale che lo mosse e lo alimentò.
E scrivendo si affollano nella mente aneddoti e ricordi infiniti … che è meglio rimandare al prossimo numero, altrimenti ci sarebbe da farne un libro intero!
Ah, dimenticavo, la mia macchina era un’imponente ma assai scassata Alfa Romeo 6C 2500 del 1949, di colore bleu, acquistata per poche lire da un rottamaio sull’Aurelia, appena fuori Roma, il mitico Calò, che esiste tuttora. Un’auto che aveva discendenze blasonate, era infatti appartenuta al principe Massimo che però non l’aveva certo trattata in modo principesco! Visto che a 6 cilindri non ci andava quasi mai, fumava come una locomotiva e aveva un consumo di liquidi incredibile, Franchetti mi suggerì di farla sistemare da Franco Lisarelli. Era costui un esperto meccanico Alfa, già addetto alle auto del Duce a Palazzo Venezia e anche uomo di fiducia del collezionista Santovetti, con officina in Piazza della Marina, a pochi passi da Piazza del Popolo e vicino lo studio del pittore Mario Schifano, adiacente la vecchia Carrozzeria Maraga. Ed ecco spuntare un altro nome storico dell’automobilismo romano; Maraga infatti modificò nel ’25 anche l’Alfa Romeo RLSS di Benito Mussolini, una due posti molto sportiva realizzata da Zagato per il “Duce” pochi mesi prima, in una vettura più comoda e confortevole. Non a caso quindi il meccanico e il carrozziere, già “fornitori” ufficiali di Palazzo Venezia, si ritrovarono vicini porta a porta a guerra finita e pace ritrovata! Successivamente, e sempre per “Lui”, Maraga modificò pochi anni dopo anche una più moderna e sportiva 6C 1750, quella con cui il Duce incontrò Claretta Petacci e famiglia sulla litoranea di Ostia, dove erano rimasti in panne con la loro Lancia Lambda, ma queste sono altre storie e magari ne parleremo un’altra volta.
Stefano d’Amico
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