Così parlò Enzo Ferrari … quasi una profezia
Enzo Ferrari (1898-1988) e Giuseppe Luraghi (1905-1991). Ma come mai non esistono più personaggi come questi? Sono stati entrambi due figure davvero particolari, operanti, si può dire, più o meno nello stesso settore; ma erano uomini assai diversi per formazione professionale, culturale e caratteriale eppure molto simili per serietà d’impegno, sintonia di vedute e capacità gestionale. Il primo è “venuto su” praticamente dal nulla, autodidatta in tutto, ma animato da una passione davvero profonda, sorretta per di più da una tenacia senza pari che gli ha consentito di raggiungere vette starordinarie legando il suo nome alla leggenda dell’automobile e del saper fare italiano. Il secondo, laureato alla Università Bocconi di Milano, fu uomo di grande cultura, scrittore e umanista, abile manager in importanti aziende italiane, pubbliche e private. Con Leonardo Sinisgalli fondò una magnifica rivista, Civiltà delle Macchine, il cui scopo era quello di integrare arte e tecnologie. Il suo nome è maggiormente legato alla presidenza Alfa Romeo per 14 lunghi anni, importanti, decisivi e fecondi per l’Azienda (1960-1974); anni comunque difficili, di ricostruzione e di rinascita che hanno visto il grande successo della Giulietta e delle numerose vittorie delle “auto di famiglia che vincevano le corse” ma anche le vicissitudini, politiche ed economiche, degli stabilimenti di Pomigliano d’Arco e dell’Alfasud che portarono a metà anni ’80 alla vendita dell’Alfa Romeo alla Fiat.
Entrambi sono stati figure fondamentali per l’Alfa Romeo e la sua storia. Uno fortemente operativo dagli albori della Casa del Portello fino al 1939 portando nella nuova azienda presieduta da Nicola Romeo, sottraendoli dalla Fiat con grande intuito e “savoir faire”, i migliori progettisti del tempo e le loro idee. Fu un’operazione magistrale che consentì all’Alfa di emergere, praticamente da subito, nel mondo delle competizioni automobilistiche nonché, di riflesso, sugli stessi mercati ma soprattutto creando attorno ad essa l’alone di leggenda e di prestigio che ha sempre accompagnato il caratteristico marchio milanese. E Luraghi, che vantava una notevole e brillante esperienza in grandi aziende pubbliche e private, è stato invece il manager giusto negli anni della ricostruzione e del “boom” economico d’Italia assicurando la sopravvivenza e lo sviluppo di un marchio, certo famoso, ma perennemente gravato da enormi problemi economici e sindacali. Ferrari e Luraghi si conoscevano, certo, e non si frequentavano ma era comunque vivo e cordiale un rapporto di corrispondenza e di reciproca stima.
E’ interessante quindi, dopo oltre mezzo secolo di vite parallele, ricordare le sensazioni e le espressioni di Enzo Ferrari, diventato ormai un famoso costruttore di vetture straordinarie destinate non solo ai ricchi e ai potenti della Terra ma anche vincenti sulle piste di mezzo mondo, nel tornare a varcare dopo 25 anni i cancelli del Portello.
Lo scritto seguente è un estratto da “Le briglie del successo” di Enzo Ferrari, settima edizione novembre 1970, non in commercio.
“Quando nel 1951 Gonzales su Ferrari, per la prima volta nella storia dei nostri confronti diretti, si lasciò alle spalle la 159 e l’intera squadra Alfa, io piansi di gioia, ma mescolai alle lacrime di entusiasno anche lacrime di dolore, perché in quel giorno pensai: io ho ucciso mia madre. E quando, un mese dopo, Alberto Ascari con la stessa macchina mise in ginocchio lo stesso squadrone al circuito del Nurburgring, che disputava per la prima volta, ….. io dissi, facendo forza su me stesso, con amara pena: è finita. Oggi l’Alfa Romeo ha iniziato quel ciclo agonisticamente discendente che fu già compiuto, fino alla rinuncia, dalla Fiat”.
Ed ecco così Enzo Ferrari, alcuni anni dopo, tornare emozionato al Portello; in quella stessa città e in quei stessi stabilimenti dove erano nate la sua storia e la sua leggenda.
“…Fu un ritorno fugace, un breve incontro. Ho varcato i cancelli del Portello il 15 luglio 1964, ventiquattro anni dopo che ne ero definitivamente uscito. L’occasione era data dal mio desiderio di ringraziare il presidente Giuseppe Luraghi per avermi permesso, non essendomi stato concesso il circuito di Monza, di provare le mie vetture prima della corsa di Les Mans sulla nuova pista sperimentale che l’Alfa Romeo aveva appena finito di costruire a Balocco, vicino Vercelli.
Entrai nel vecchio cortile di via Gattamelata e, quasi tremando, mi guardai intorno. Poche cose erano cambiate. Sentii però un’aria più impersonale che annebbiò un poco la mia emozione. Luraghi, che avevo già conosciuto nel 1946 quando era direttore centrale alla Pirelli, fu con me quasi affettuoso. Non mi consentì di completare il ringraziamento, disse che era lieto di aver potuto fare per le mie macchine una piccola cosa dopo tutto quello che io avevo fatto per l’automobilismo italiano. …. Ricordammo il passato, parlammo di tante cose di ieri e di oggi. Sentii la delusione di questo uomo di antica tradizione democratica, di origini umanistiche. Sentii la sua amarezza nel vedersi prigioniero, lui così energico e volitivo, di realtà superiori. E quando uscii dalla mia cara e vecchia Alfa, pensai con amarezza che i programmi del suo presidente, che certamente tendevano a rinverdire i suoi allori, non soltanto sportivi, venivano rimandati a un vago futuro. Strano e contrariante destino degli uomini che restano fedeli alle idee. Destino che io ho dovuto più volte subire.
Gli anni passano rapidi: siamo nel 1969. Ho incontrato ancora il presidente Luraghi a Modena. …. La situazione era mutata dal nostro incontro al Portello. …. L’Alfa era tornata alle corse con la sezione Autodelta. Luraghi mi confermò che qualche mese prima l’avvocato Agnelli era stato da lui. Mi sovvenne l’antico progetto di una “Scuderia Italia” che risaliva al 1937, quando l’Alfa diceva “no” alle corse se non attraverso la Scuderia Ferrari. Allora, d’accordo con l’ingegner Ugo Gobbato, lo esposi al professor Valletta. Alla grande sfida germanica si poteva opporre una coalizione tutta italiana. Quell’idea sfumò risultando difficile una simile unione di interessi.
Ora tornava attuale? Dall’incontro di Agnelli e Luraghi, come seppi, era nata infatti la proposta di partecipare insieme al rilevo della Ferrari, la quale avrebbe potuto così continuare i suoi programmi sportivi. Questa intesa Fiat-Alfa-Ferrari non si concretò …. Questi i principali fattori negativi di parte Alfa: gli oneri sorgenti da una attività che sarebbe risultata pubblicitariamente molto indiretta e il fatto di aver già avviato un’iniziativa tecnico sportiva diretta con l’Autodelta.
Luraghi mi lasciò con una significativa stretta di mano. “Ferrari, concluse, il giorno in cui lei avesse a cessare i suoi rapporti con la Fiat, la mia società sarà onorata di legare a quello della Ferrari il suo nome”. …. La storia della Ferrari sarebbe potuta tornare alle origini. ….. “
Gli anni passarono; e così comunque avvenne. Ferrari, scomparso nel 1988, ebbe tempo di vedere il passaggio di Alfa Romeo alla Fiat e le vicende che lo accompagnarono. Chissà cosa pensò nel suo intimo.… Perché via via parte della storia tornò proprio alle origini, in Fiat, da dove indirettamente la leggenda vera dell’Alfa era nata. In Fiat, o meglio FCA/PSA, o quel che sarà; o forse verso una nuova dimensione ispirata alle stelle, Stellantis, appunto. Ma allora ecco qui che la storia si conclude con anche la Francia di mezzo, da dove in realtà tutto cominciò…. Ma come, non ricordate come è nata l’A.L.F.A. (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili)? Dal pietoso fallimento di un’azienda francese che faceva taxi e vetturette anche in Italia, al Portello appunto, … la Darraq!
Stefano d’Amico
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straordinaria interpretazione di due generazioni ……. gigi brandoli