Ma le macchine hanno un’anima?
Arrivando a Roma dalla via Aurelia, poco prima del Grande Raccordo Anulare, sulla destra, c’è da sempre il mitico “sfascio” di Calò, storico demolitore romano di automobili. Una volta era anche ritrovo di tanti appassionati in cerca di qualche pezzo di ricambio per le loro auto d’epoca, quelle vere, quelle anteguerra! Calò era una miniera; si trovava di tutto e si incontravano tutti anche magari per far due chiacchiere e bere un caffè, sempre offerto dalla signora Maria, moglie del custode. Erano lì a rovistare fra luridi e oleosi pezzi di ogni genere tra auto smantellate ed altre “quasi” integre, alcune bellissime, qualcuna ancora più o meno marciante, abbandonate dai loro proprietari o sequestrate dagli ufficiali giudiziari! Oggi laggiù di bello o di interessante non c’è più veramente nulla. Le auto dei nostri giorni sono tutte uguali, prive di qualsiasi appeal, fatte da un computer piuttosto che dall’estro creativo di un carrozziere e dal martello di un battilastra e finiscono sempre lì, accatastate in montagne di plastiche rinsecchite e lamiere arrugginite, anonime, fragili e orrende, una sopra l’altra in attesa di tornare in fonderia. Uno spettacolo triste se ci si pensa, in fondo anch’esse hanno fatto la loro parte e contribuito a mobilità e servizi dei rispettivi proprietari, ma oggi siamo fin troppo pieni di immondizie, e queste auto ne fanno purtroppo parte!
A quel tempo da Calò c’era invece da emozionarsi sul serio fra tante automobili vecchie ma ancora belle e di immutata classe, buttate via e finite lì per essere mandate … allo sfascio, demolite senza misericordia, per stato di necessità, di passaggio di mode e a metà anni ’70 anche per l’incombente crisi energetica con conseguente enorme aumento dei costi della benzina. Ma sentivi che avevano ancora qualcosa da mostrare e da raccontare. Ricordo sotto una tettoia alcune vecchie Ferrari e varie barchette da corsa, macchine in alluminio, unico motivo per essere conservate al riparo delle intemperie. L’alluminio valeva più del ferro ma quelle auto dalle linee ammaccate ma ancora voluttuose e fascinose avevano sempre fermato e rimandato, per loro innata malìa, la mazza ferrata del rottamatore. Macchine che oggi farebbero la gioia e il vanto di ogni appassionato. Verso la fine degli anni ’60 recuperai ed acquistai per poche lire, proprio da Calò, un’Alfa 6C 2500 che era appartenuta addirittura al Principe Massimo, marito dell’attrice Dawn Addams. Era ridotta un po’ maluccio pur vantando cotanto blasone, ma sentivo che era stata lei stessa a chiamarmi, a chiedermi di non essere lasciata lì. Mi impietosii e allora mi chiesi, e continuo a chiedermi, se anche le macchine avessero un’anima. Solo certe macchine però, quelle ancora prodotte con un sentimento intimo, attento e artigianale, capace di guidare l’ingegno, la mano e la matita di qualcuno che amava la raffinatezza. Quelle auto che un tempo erano state scelte, amate, guidate, vissute ma che mi sembrava ancora non avessero alcuna voglia di essere abbandonate e dimenticate.
E se queste vecchie automobili hanno davvero un’anima, allora avranno certo anche il loro paradiso sicuramente pieno di brave anime ferrose. Chissà come sarà questo paradiso. Mi viene in mente per loro, una volta giunte nei cieli, un idilliaco autodromo di Monza con le sue belle curve e lunghi rettilinei tracciati fra alberi ombrosi che sussurrano incitazioni e saluti a quelle auto giunte lassù stanche e tristi ma subito ringiovanite e di nuovo splendenti, per correre ancora felici e rumorose. Come sotto i ciarlieri cipressi di Bolgheri! E le nostre vecchie brave auto si ritrovano lì, nel loro paradiso, di nuovo lucide e senza ruggine, per correre da sole o sostare sotto grandi alberi e sui prati ombrosi della storica paradisiaca pista a ricordare i loro piloti, le loro avventure, i passati ed effimeri splendori terreni. Quando poi arriva la sera se ne vanno nei loro box sognando magari antiche vittorie o corse fra montagne e deserti e qualcuna udendo ancora sui propri sedili echi lontani di languidi sospiri d’amore.
E le mie auto? Cioè mie si fa per dire, quelle di cui sono stato solo un temporaneo custode; le tante che ho guidate negli anni si ricorderanno ancora di me? Avranno un po’ di rimpianto? Il loro attuale possessore sarà buono con loro? Io in fondo le ho sempre trattate bene, con amore intenso e passione sconfinata, ma anche con notevole rispetto. Per la loro storia, per i loro creatori, ma soprattutto per la gioia e il piacere che mi hanno sempre donato. Certo, mi hanno fatto anche soffrire, però forse erano solo pene d’amore. Hanno visto crescere me, la mia famiglia, i miei figli divenendo parte della mia vita stessa. Mi hanno portato ovunque, facendomi assai spesso scoprire itinerari e luoghi insoliti, dimenticati dal viver frenetico di oggi e che mai avrei visto senza di loro. In fondo erano auto vecchie, pur se storiche, però mi è sempre parso che fossero loro a decidere per me strade e destinazioni. E come erano felici dopo qualche cura periodica o un bel tagliando! Ma non vi siete mai accorti anche voi che persino dopo un accurato lavaggio queste strane auto vanno meglio? Quindi è chiaro: esse hanno un’anima.
O forse quest’anima siamo noi a volergliela infondere, a credere che ci sia comunque, se non altro per compensare qualche vuoto di affetto nostalgico che abbiamo in noi o colmare ogni tanto un altro vuoto, quello che oggi spesso si percepisce vivendo in una società che tende sempre più ad isolarci o ad abbandonarci indifesi al nostro destino. E così si ha l’impressione che l’auto invece quasi ci protegga, particolarmente se vecchia e magari bisognosa anche lei di cure, come noi, di attenzioni alle quali con piacere si ricorre per sollecitare e resuscitare rinnovate emozioni e gradevoli sensazioni. Sentimenti che vengono da esse restituite con la compagnia di dimenticati odori d’antico e di rumorosi motori, la protezione tutta attorno di linee e metalli ricercati, senza nessuna assistenza elettronica o sofisticata, noi e la macchina, soli e integrati nei suoi meccanismi e non da essi dipendenti come sulle auto più moderne.
Forse oggi vetture straordinarie e molto esclusive, tipo la Pagani o una Bugatti, fatte ancora del tutto artigianalmente, riescono a coinvolgere il fortunato proprietario con sensazioni filosofiche e affettive, ma io ne dubito. Temo che oggi sia preponderante la vanità e il gusto del solo possesso piuttosto che della passione, intima e profonda, per il mezzo meccanico e questo esclude completamente altre emozioni ma soprattutto non rivelerà mai l’anima che anche in esse è certamente nascosta.
Ne sono sempre più convinto. Le automobili hanno un’anima e più le ami più essa ti si rivelerà.
Stefano d’Amico
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