Io e il Bonini
Mi sta capitando sempre più spesso che alcuni ricordi mi riempiano l’animo di una strana e malinconica nostalgia. Nostalgia non tanto per la spensieratezza degli anni passati quanto soprattutto per l’avvento di un mondo nuovo che cancella il precedente, le sue tradizioni e i suoi valori. Uomini, amici e modi che non ci sono più. E la nostalgia, vivendo questi tempi, riporta spesso a ricordi lontani ma ancora vivi nel cuore.
Era una giornata di marzo dei primissimi anni ‘90, fredda, grigia, assolutamente inadatta per provare alcune automobili; alcune vecchie, anzi vecchissime automobili ma tutte di un fascino straordinario. Automobili che uscivano da una “casa”, la loro, altrettanto straordinaria; un museo, addirittura. A Milano la solita pioggiolina nebbiosa, fitta e leggera, avrebbe consigliato a chiunque che forse sarebbe stato meglio rinunciare ma in Alfa avevano già predisposto tutto ed io, che pur avevo sollecitato questo evento, non avrei certo potuto tirarmi indietro per “quattro gocce” come le definì il buon Bonini, neppure avanzando scuse professionali.
Avevo avvisato il mio ufficio che quel giorno non sarei andato per impegni “istituzionali riservati”. E non era neppure una bugia perché li avevo presi non solo come Presidente del Registro Italiano Alfa Romeo, una bella associazione che allora riuniva appassionati Alfisti di ogni parte del mondo, ma anche come responsabile dei rapporti istituzionali di un’azienda di Stato per una particolare operazione di immagine e di marketing.
Si trattava di muovere e provare quattro vetture del Museo di Arese che avrebbero partecipato alla Mille Miglia storica e in più c’era anche la 8C tipo Monza del ‘32 di un caro amico sulla quale erano stati fatti alcuni lavori dai meccanici del museo stesso per gentile liberalità della Casa nei miei confronti.
E così di buon mattino sotto casa mia a Milano, vicino Foro Bonaparte, trovai già il Bonini con l’immancabile berretto inglese kangol che gli avevo regalato tempo prima e non si era più tolto. In verità se lo era regalato da solo perché un giorno mi disse: è proprio bello. Mi ci vuole proprio. Tu che avresti fatto?
Guidava la sua Alfa 90 grigia e partimmo per Balocco, la mitica pista sperimentale dell’Alfa Romeo poco prima di Torino.
Bruno Bonini. Era un mito anche lui. Faceva parte del gruppo dei sette famosi collaudatori dell’Alfa, i magnifici sette li chiamavano, ed i progettisti pendevano dai loro suggerimenti. Una vita passata in Alfa e per l’Alfa; discepolo di Guidotti e Sanesi, altri grandi piloti del Portello, e figlio d’arte; il padre Pietro infatti, meccanico poliglotta eccellentissimo, fu uomo dalle mille risorse che la Casa mise vicino all’asso tedesco Rudolph Caracciola quando fu pilota Alfa ma venne anche utilizzato come figura di collegamento, discreta e capace, con il maresciallo tedesco Kesserling per evitare ruberie e danneggiamenti da parte dei tedeschi in ritirata. Rimediarono invece gli alleati nel 1943 con un inutile e violento bombardamento.
Bruno, persona schiva e gentile, era animato anche da gran passione e entusiasmo senza pari ed una volta raggiunta la pensione ebbe l’incarico di consulente per seguire il ripristino e la manutenzione delle vetture del Museo nonchè seguire la stessa associazione Registro Alfa come Conservatore, impegno precedentemente assunto da Luigi Fusi, storico dell’Alfa e creatore del suo museo.
Bruno morì nel 1994 durante le prove di una gara per auto storiche a Spa mentre guidava una GTA della Scuderia del Portello, un modello di vettura che lui stesso trenta anni prima aveva deliberato.
Arrivammo a Balocco. Non so come avrà fatto ad arrivarci tra nebbia, piovasco e foschia lungo le numerose stradine, strette e sinuose, affiancate dai piccoli corsi d’acqua delle risaie. Ma quella era gente che andava ad occhi chiusi, in piena armonia o in duro combattimento con qualsiasi mezzo meccanico fosse nelle loro mani. Era la prima volta che vedevo Balocco in quelle condizioni atmosferiche ma almeno, pensavo, non ci sarebbero state le zanzare! Le vetture erano già lì ad aspettarci sotto i portici del Casale della Bella Luigina, leggendaria foresteria interna alla pista che dagli anni ‘50 in poi vide passare tutti i personaggi e i piloti dell’Alfa, vivendone impressioni e progetti, entusiasmi e delusioni.
Per fortuna il tempo si stava lentamente rischiarando e gli assistenti di Bruno avevano già verificato e riscaldato le auto. Maurizio Monti, Salvatore Di Pasquale, Alessandro Rigoni. Uomini e meccanici meravigliosi, nelle loro tute azzurrine; eredi di antiche tradizioni di eccellenza; erano quelli dell’Alfa di una volta, quelli animati da valori ed esperienze prestigiosi, quelli che alimentarono un capitale umano preziosissimo ed unico per l’Azienda che le nuove generazioni non hanno purtroppo saputo conservare e promuovere, ma anzi hanno distrutto e disperso.
Via il paltoncino e subito in auto. C’era molta umidità ed essendo, come declamai, oltre che delicato anche un po’ vigliacco, scelsi vetture chiuse; la comoda e calda 1900 berlina che sarebbe stata affidata al Presidente dell’Agip, Pasquale de Vita, seguita dalla 1900 Touring SS che avrebbe invece guidato l’allora ministro dell’Economia Giovanni Goria. Alla partenza da Brescia di quella storica Mille Miglia ci sarebbe stato persino il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, oltre che tutta la stampa italiana e straniera.
Bruno intanto, in piena goduria, inanellava giri su giri, con le aperte e ben più potenti 3000 CM e 1900 Sportiva. Le auto erano tutte perfette solo la rossa 1900 Sprint aveva i freni che tiravano troppo da una parte, tanto per cambiare.
Ma io non vedevo l’ora di guidare la gloriosa 8C ex Scuderia Ferrari, ormai il tempo era migliorato e la pista si era anche asciugata un po’. Bruno, che lo aveva già capito da un pezzo e invece la tirava lunga, fece un gesto affettuoso di condiscendenza e si mise vicino a me avvisandomi solo che la pista era un po’ scivolosa. Il motore era un violino, il rumore un fracasso mostruoso. La macchina rispondeva meravigliosamente, frenava bene e mi sembrava di andare bene anche io. Presunzione da tassinaro romano. Dopo due o tre giri durante i quali Bruno (sempre con il mio cappellino in testa) si era pure fumato una sigaretta, mi invitò a rientrare nel piazzale e fermarmi. Ti sei divertito? Mi chiede, la macchina del tuo amico va bene? Avevo capito che mi stava affettuosamente prendendo in giro mentre i tre meccanici se la ridevano sornioni.
Passa di qua, guido io, ora la proviamo.
Come? la proviamo? e perché? cosa avevo fatto o non fatto fino ad allora, pensai fra me.
Tutta un’altra storia. Ho ancora negli occhi e negli orecchi i suoi gesti sciolti e sicuri con i conseguenti “commenti” positivi e soddisfatti della macchina. Come ahimè ho ancora, a distanza ormai di anni, la triste sensazione che avevo guidato quel mezzo straordinario proprio come un tassinaro. Con Bruno la macchina volava e accarezzava le curve con armonia, mentre dallo scarico erompevano boati laceranti pienamente raccordati dal cambio che non consentiva la perdita neppure di un giro.
Ogni cambiata era precisa e perfetta e Bruno se la godeva come un matto che gira in bicicletta intorno a casa sua. In alcune curve le staccate avvenivano proprio al loro punto di corda, in altre una decina di metri prima con il posteriore che partiva in perfette derapate controllate mentre la potente macchina era sempre in tiro e potenza.
Questo sì che era guidare e piano piano Bruno, con il suo fare sicuro e garbato, riuscì a trasmettermi sensazioni di serenità ed infinito piacere mentre inanellava giri su giri, sempre molto forte, su quegli asfalti che lo avevano impegnato per oltre 40 anni tutti i santi giorni collaudando e deliberando centinaia di vetture.
Era una persona davvero speciale il Bonini; aiutava tutti e offriva consigli motoristici a chi lo interpellava, con umiltà e disponibilità, sempre pronto a dare una mano e un sorriso.
Come quello che mi affiora sulle labbra proprio adesso, mentre scrivo e ricordo la sua trovata nel modificare la Giulia “Saragat” a … guida invertita. La “Saragat” era una normalissima berlina Giulia bianca trasformata in cabriolet. Ne fecero due e furono utilizzate per l’inaugurazione dei nuovi stabilimenti Alfa di Arese nel 1963. Su una fu ospitato appunto Giuseppe Saragat, allora Presidente della Repubblica, accompagnato da Giuseppe Petrilli, Presidente dell’IRI, holding dell’Alfa Romeo, con il suo presidente Giuseppe Luraghi. I tre Giuseppi, li definivano, e costituivano un trio davvero poderoso! Il famoso collaudatore Sanesi era al volante in tuta bianca immacolata.
Al Bonini gli bastò invertire la scatola guida e la storica vettura divenne un oggetto di puro divertimento e un banco prova dei “carciofi” partecipanti a un raduno di Alfisti a Balocco.
Il test esilarante avveniva lungo una fila di birilli … per vincere bisognava soltanto andar dritti e arrivare in fondo. Solo 50 metri per essere derisi un’intera giornata.
Se giravi il volante a sinistra la macchina andava a destra e … viceversa. Sembrava facile, ma farlo capire fu un’impresa. Ad alcuni toccò staccargli la chiave di accensione e bloccare la macchina, più giravano più si intorcinavano su se stessi in mezzo ai campi senza capire che sarebbe bastato soltanto girare al contrario.
Il Bonini; fu anche un buon pilota, corse con Fangio, partecipò alla Carrera Panamericana, alla Mille Miglia, … ma fu anche un mio ottimo collaboratore e soprattutto un magnifico e indimenticato amico.
Altri tempi, altre storie, altri Uomini …
Stefano d’Amico
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