La Donna e l’Automobile
Gabriele D’Annunzio, che di certi argomenti se ne intendeva assai bene, dichiarava nel 1926 al Senatore Agnelli che l’automobile è assolutamente femminile. Essa infatti “ha la grazia, la snellezza, la vivacità di una seduttrice, … e quella disinvolta levità nel superare ogni scabrezza”. E infatti le due essenze, l’auto e la donna, si sono intese e unite praticamente da subito; la duchessa d’Uzès (Anne de Rochehouart de Montemart), proprietaria della casa di champagne Veuve Clicquot Ponsardin, passò per una rivoluzionaria essendosi iscritta a Parigi nel 1898 per il brevetto di conduttrice d’auto come, quattro anni prima, la nostra Contessa Elsa d’Albrizzi, nobile e brillante veneziana, che con un triciclo Bernardi vinse la Padova-Bovolenta. Sono i primi documenti certi del binomio donna-auto.
Ma sono anche i primi documenti che, come riportarono i giornali dell’epoca, raccontano nei dettagli lo stile e l’eleganza, disinvolta appunto, delle nostre eroine. Un “semplice tailleur e un piccolo cappello di feltro nero adagiato alle 23 su un orecchio” per la duchessa e un “elegante chemisier chiaro con cappello e veletta in tinta” per la contessa italiana. La rivista “Le buone creanze” del 1913 scrive che “l’automobilismo rimane uno sport di alta eleganza; ampio mantello di caucciù per l’estate e pelliccia a lungo pelo per l’inverno”, lei col velo sulla mascherina portaocchiali, ”di così detestabile effetto estetico e pure utilissima”, lui con cravattoni, scialli antipolvere di tutte le fogge e guanti alla moschettiera. Basta poi sfogliare il ricco “Catalogo Generale dell’Unione Militare”, collezione estate-inverno 1913-1914, e si ha l’imbarazzo della scelta per abiti e accessori uomo donna che devono affrontare un viaggio in automobile. Viene persino specificato che un apposito reparto è dedicato esclusivamente alle chaffeuses più esigenti con articoli loro dedicati, dalle velette alla biancheria intima. Analoghe ed eleganti offerte anche nel prestigioso catalogo dei magazzini inglesi Selfridge, fondati nel 1909. “L’Almanacco dello Sport” stabilisce nei primi del’900 cosa deve indossare la signora elegante alla guida o a bordo di un automobile. ”Sopra un tailleur sobrio e semplice, completato dalla camicetta sportiva, è indispensabile portare un mantello in tinta neutra, e un tessuto che non accetti la polvere, che si chiuda perfettamente al collo e ai polsi; attaccata al risvolto si trova una fascia della stessa stoffa che fa da cravatta; l’acconciatura è nascosta da un velo del colore dei capelli che raccoglierà la polvere”.
Negli anni 1920-1925, quelli della grande emancipazione femminile, della garconne e dei più raffinati atelier parigini, le donne in automobile, siano state passeggere o conduttrici, hanno creato una vera moda fatta in minima parte di praticità ma molto di capriccio e personalità. Esse facevano del mezzo meccanico il loro boudoir con vasetti di fiori in lalique, fodere di astrakan, boccette per sali e profumi, interfono per i comandi all’autista, se non se lo guidavano loro stesse. Sull’argomento c’è ancora una vasta letteratura che va dal primo berretto in velluto nero, specifico per auto sportive, di Colette alla Rolls Royce di colore amaranto con autista in tinta e saponette a forma di Rolls Royce per l’attrice americana e famosa designer Lady Mendl; dalle coperte in pelle d’orso bianco ai motti incisi sui vetri interni da Gallè.
La macchina era diventata e si era confermata femminile. E, secondo me, tale è rimasta sino a fine anni ’60, quando arrivò il ’68. L’anno rivoluzionario dei cambiamenti sociali … e quindi delle mode e dell’eleganza passate dalle pellicce di visone ai montgomery. Non esisterà più una moda esclusiva per l’automobile, divenuta ormai strumento di vita e di lavoro, e la donna dovrà essere pronta in ogni momento e occasione della giornata a prenderne il volante. Anche l’auto quindi, costretta a seguire i tempi, si trasforma via via da mezzo ricercato e quasi esclusivo in un prodotto di “facile” ma essenziale consumo. L’elemento femminile però sarà sempre tra quelli che impronteranno e dirigeranno le scelte del progettista e le linee dello stilista fino alle successive mirate azioni commerciali e di marketing destinate proprio alle donne, intese come sottili, apparentemente gentili ma necessarie influencer.
Nell’auto dovranno comunque e sempre esserci, anche in mezzi meno raffinati, “specchietti di cortesia”, lampade con le giuste luci, poggiatesta, accendini e portacenere, …. L’Alfa Romeo, più di ogni altra marca, fu la Casa che per prima è andata incontro ai desideri e alle “necessità” femminili. Addirittura la scelta del nome di una delle sue vetture più iconiche, la Giulietta, seguita poi dalla Giulia, fu un’idea davvero geniale che calamitò sulla nuova rivoluzionaria e moderna automobile consensi ovunque. Ma allora in Alfa c’era un management illuminato, a cominciare dal suo presidente Luraghi, assai attento anche ad ogni orpello che potesse condizionare il cliente femminile e indirizzarne la scelta.
E’ davvero interessante constatare quanto la Donna, intesa come figura romantica e sentimentale fatta di leggerezza e beltà, abbia sempre influito, anche nell’inconscio del costruttore-designer più rigido, nelle scelte creative che hanno portato alla realizzazione di una automobile. Pensate poi quanti grandi sarti, famosi nel mondo, abbiano portato il loro estro anche nell’automotive. Negli anni ’80 Valentino per l’Alfa Romeo “vestì” una Alfasud, oggi ricercato pezzo per i collezionisti, Fiorucci, sempre per l’Alfa, fece allestire da Zagato una Giulietta che oggi farebbe inorridire ogni benpensante, Missoni si adoprò per una Autobianchi Y10, Sisley per la Fiat Panda 4×4 e poi ancora, in tempi più recenti, Pierre Cardin per la Simca 1100 e la particolare la Stash Cardin del 1976. Ma anche il re dell’Alta Moda, Giorgio Armani, ha voluto dedicare alla donna una edizione limitata della Mercedes CLK 500, subito dopo di lui Donatella Versace per la Lamborghini Murcielago (2006) e Gucci con la elegante Fiat 500 nel 2011.
Ed è anche vero il contrario. Grandi stilisti dell’automobile come Pinifarina o Walter de Silva, per esempio, hanno prestato il loro estro per disegnare prodotti, anche personali, destinati esclusivamente alla donna. Si può quindi concludere in questo caso con quanto dichiarò Coco Chanel: “l’uomo può indossare ciò che vuole. Resterà sempre comunque un accessorio della donna”.
Stefano d’Amico
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