Il Viaggio e l’Automobile
Un viaggio…
Vi siete accorti come questa sola piccola parola susciti assai spesso un senso di viva ed intensa emozione? Il solo pensiero del Viaggio incute infatti nell’uomo un insieme di sentimenti che hanno sempre riempito l’animo di apprensione, incertezze, gioia, entusiasmo e spesso anche dolore e nostalgia. Persino un piccolo viaggio e ancor di più, ovviamente, uno significativo e senza tempo, inteso questo come senso e cambiamento di abitudini o addirittura di vita. Il viaggio, nel senso pieno del suo significato, oggi è un avvenimento non solo economico ma anche psicologico e metafisico. Il viaggio, infatti, nelle sue fasi (partenza, percorso e arrivo) rende l’idea del ciclo della nostra vita e del suo dinamismo. Il viaggio è quindi un’esperienza interiore dell’individuo che richiama intimamente anche la circolarità della vita: la nascita, l’adolescenza, la fase adulta e la morte. Fa parte della nostra vita attiva e ne costituisce fasi ed esperienze. Qualcuno ha detto che la vita stessa è un viaggio, anche se la sua fine non è mai piacevole!
Pellegrini e viaggiatori, da Ulisse a Marco Polo e Cristoforo Colombo: uno al centro per il Mediterraneo, uno all’est e un altro all’ovest.
La parola viaggio, e quindi fare i bagagli, prendere cioè qualcosa di personale, porta con sè l’idea di un cambiamento, di un’incognita. È questo un evento antico quanto l’uomo, un evento vivo nella storia e nelle leggende di ogni popolo che spesso ne ha anche formato l’identità. È arcinoto che il mondo debba oggi il suo volto a quello che fu il febbrile evento del viaggiare, per necessità, per conquista, per fede, per commercio, per avventura. Sin dai tempi di Noè! Cambiano i tempi e cambiano le forme, i modi e le motivazioni del viaggio come purtroppo il fenomeno delle recenti e spesso tragiche immigrazioni evidenzia da tempo sconvolgendo non poche situazioni umane, sociali, politiche e religiose che avranno sempre più un notevole impatto nel nostro futuro. E questa volta anche in tempi abbastanza brevi.
Ma un viaggio può essere anche ancorato alla semplice sete di evasione, di libertà, di movimento, di conoscenza, di avventurosa curiosità. Come è avvenuto a fine Ottocento per i primi viaggi in automobile; un mezzo mai visto prima, di scarsa affidabilità e quindi di totale diffidenza, che relegava nella stalla i pur lenti ma sicuri cavalli e carrozze per affrontare scoppiettando e sfumacchiando il nuovo secolo, quello delle grandi scoperte, che arrivava improvviso ed affascinante con tutte le sue nuove invenzioni e tecnologie; anche nel viaggiare.
Una brillante e avventurosa scrittrice americana, Edith Wharton (1862-1937), premio Pulitzer, annotava nel 1909 lungo un giro della Francia a bordo di una Panhard-Levassor che “l’automobile ha resuscitato lo spirito romanzesco del viaggio rinnovando la capacità di stupirci, il gusto dell’avventura e della novità che rendevano vivo il cammino dei nostri progenitori che viaggiavano in carrozza” o anche in nave o a piedi, aggiungo io. Marcel Proust, colpito da tanta audacia femminile, ne presenta addirittura il volume con varie considerazioni sul rapporto che intercorre fra l’automobile con i suoi passeggeri e la percezione dello spirito dei luoghi, anche lui forse “alla ricerca del tempo perduto”.
Come ricordato in un precedente racconto sulla leggenda di San Cristoforo, la nostra ex Regina Margherita di Savoia, bravissima chauffeuse, fu una delle prime viaggiatrici in auto, su vetture personali da lei stessa riccamente e intensamente super accessoriate, con cui effettuò vari Grand Tour per l’Europa. E ci fu anche chi i suoi viaggi in auto, ancora ai primordi, per stimolo professionale o per spirito d’avventura e comunque per fantasia e sete di conoscenza, se li organizzò verso l’ignoto. In auto appunto, piuttosto che con altri mezzi, e con lo spirito di Marco Polo come il giornalista del Corriere della Sera Luigi Barzini e il principe Scipione Borghese che oltre alla “Metà del mondo vista in automobile” si fecero anche la Pechino-Parigi con l’Itala 35/45HP attraversando fiumi, deserti e paesi del tutto sconosciuti; quasi 120 anni fa.
È il piacere questo della “Vie Errante”, proprio come la visse e descrisse Guy de Maupassant a bordo del suo veliero “Bel Ami” navigando per il Mediterraneo nella luce e nei colori delle sue coste. Al tramonto della vita penso si apprezzi ancor di più l’evento del viaggio non solo come sete di ultima conoscenza e di svago ma con l’intima speranza di non fermarsi mai e di correre in auto o in aereo più veloci della morte, come sosteneva D’Annunzio in “Forse che si forse che no” seguace dalla nuova corrente di pensiero e movimento, animata dai futuristi di Marinetti, che vedeva appunto le auto e gli aeroplani come strumenti per dominare la natura grazie alla potenza e alla velocità di questi nuovi mezzi meccanici.
Fino a pochi anni fa era più facile intraprendere un viaggio in qualsiasi forma e in qualsiasi direzione ma i tempi cambiano, e al di là di guerre e pandemie, di chiusure di frontiere e rigore di religioni, sono cambiati anche gli animi delle persone che vedono in ogni viaggiatore un possibile nemico piuttosto che un turista, nel senso vero della parola, o comunque una figura diversa da loro, quindi ostile, mentre i grandi traffici commerciali internazionali e la facilità informatica per ogni rapporto hanno ormai privato il viaggio in auto di quell’aspetto zingaresco e avventuroso che lo hanno caratterizzato fino a mezzo secolo fa.
Gruppo di amici biellesi in viaggio da Biella a Parigi, primi del ‘900 (Archivio Serventi)
Oggi l’aumento costante della velocità dei trasporti, di qualunque tipo essi siano, tende ad annullare l’emozione di vivere il proprio viaggio e magari goderne gli aspetti piacevoli o interessanti, quando ci sono, e comunque quanto di nuovo lo anima e lo circonda. Tutto è improntato dalla velocità; l’espressione sovrana di ogni azione o comunicazione avviene oggi … in tempo reale. Questo, secondo me, avvicina invece più rapidamente alla morte, intesa anche come privazione di ogni emozione e di nuove conoscenze, e fa smarrire non solo il semplice senso del viaggio ma il senso stesso della vita privandoci spesso dei suoi aspetti e dei suoi sentimenti più importanti che sovente solo la “lentezza” rende significativi e “memorabili”.
1889. Bertha Benz. Con il marito sulla loro nuova auto Benz Patent Motorcar.
Mi piace comunque ricordare che fu una donna a intraprendere il primo vero viaggio in un “automobile”, una macchina cioè che si muoveva da sè, senza cavalli e senza carrozza. E fu una donna che con questo gesto rese famoso il proprio marito e ne fece una leggenda. Si chiamava Bertha Ringer Benz, moglie di un inventore, un “certo” Karl Benz. Inizialmente la sua invenzione non risultò né fruttuosa né interessante e la gente, che, come si sa, è spesso assai indifferente, guardava allora con sorriso e sospetto il nuovo veicolo, tanto che l’intera famiglia si ritrovò sul lastrico. Proprio per questo motivo Bertha decise di intraprendere un viaggio su un mezzo realizzato dal marito, che poi non era per nulla eccentrico, e per dimostrarne la validità e l’efficienza si portò dietro anche i due piccoli figli, Eugen e Richard. La mattina del 5 agosto 1888 la donna partì, all’insaputa del coniuge, lasciando un biglietto che lo informava della visita alla madre nella città di Pforzheim, a circa 100 km dalla loro cittadina. Incominciò così l’avventuroso viaggio su strade allora non asfaltate e prive di stazioni di rifornimento, peraltro ancora di là da venire. Nel tragitto attraverso le colline della Foresta Nera i tre incontrarono non pochi ostacoli e difficoltà. Si dovettero fermare presso una farmacia nella cittadina di Wiesloch per rifornire la vettura di ligorina, un particolare idrocarburo del tempo, antenato della benzina. E la farmacia passò così alla storia come la prima stazione di servizio! Lungo il percorso ci furono molte altre soste dovute spesso a difetti meccanici del veicolo. Per questo motivo Bertha si improvvisò anche meccanico, rivelando una bella genialità nel riparare da sè ogni avarìa, ivi inclusi i carburatori dell’auto con dei semplici spilloni per capelli. A causa invece di un problema ai freni dovette chiedere necessariamente aiuto ad un calzolaio per sistemare il cuoio dei tiranti e poter così proseguire il cammino. Una volta arrivata a destinazione informò per telegrafo il marito della riuscita della sua impresa e dopo alcuni giorni percorse la strada di ritorno, altri 100 km, effettuando così in totale un tragitto di 200 km. Questo viaggio incuriosì e convinse l’opinione pubblica dell’efficacia dell’invenzione di Benz, ne parlarono addirittura molti giornali, promuovendo involontariamente una straordinaria campagna pubblicitaria che decretò il successo della nuova invenzione e l’inizio di un nuovo mondo e di un nuovo modo di viaggiare. Fino a metà del XXI secolo… quando si inizierà a viaggiare nello spazio, ovviamente senza sciarpe e occhialoni ma con un sofisticato ed essenziale abbigliamento Spacewear!
Buon viaggio!
Stefano d’Amico
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