Quando l’automobile era un maschiaccio
Sistemando i mei vecchi libri mi sono imbattuto in un bellissimo dizionario di mio nonno, il “Vocabolario per tutti Illustrato”, del mitico Professor Melzi in una edizione del 1902, ancora sopravvissuta in famiglia e consultata da tre generazioni. Sfogliarlo e annusarne il profumo di antico è stato un gesto romantico, leggerne poi qualche definizione è stato semplicemente surreale. Con il dovuto rispetto per il professor Melzi ho notato che di automobili o automobilismo proprio non ne sapeva o non gliene importava nulla o forse non c’era ancora arrivato. Eppure il motore a scoppio, inventato dai toscani Barsanti e Matteucci nel 1853, già muoveva diversi motoveicoli e le prime automobili da circa 20 anni e la Fiat, fondata nel 1899, già circolava per le strade d’Italia (si fa per dire). Ma il nostro professore nel 1902 lo ignorava completamente. Così definisce: “Automobile: veicolo a ruote e a molle, munito di speciali congegni…”, manco fosse un orologio semovente! E alla voce “Automobilina” spiega… “benzina”. 121 anni fa, quindi, si metteva l’automobilina nel serbatoio delle automobili. Che tempi! Il solo ricordarli ti fa capire quanto il mondo sia velocemente e inesorabilmente cambiato nell’arco di un secolo. Solo 100 anni, ma rivoluzionari. Pensate poi che fino a pochi anni prima, nella Roma papalina del 1859, con papa Pio IX°, ancora esistevano la pena di morte e la Santa Inquisizione. Che operavano peraltro senza misericordia!
Milano risultava allora essere la città più motorizzata d’Italia con ben 154 automobili seguita da Torino con 106; poche decine, se non poche unità, nelle altre maggiori città italiane (fonte: Annuario del Touring Club, edizione sempre del 1902, che cita persino i nomi dei proprietari. I Florio ovviamente a Palermo, Giovanni Agnelli, Ceirano e Diatto a Torino, il conte Ginori e i fratelli conti Masetti a Firenze, a Milano Edoardo Bianchi, Cesare Isotta e Vincenzo Fraschini, il conte Agostino Lurani, padre di Giovannino, ecc.). Sempre nel 1902 l’Annuario avverte anche che “Gli automobili (al maschile) sono tenuti alla tassa annua di lire venti…”. E qui comincia a venir fuori che lo automobile era ufficialmente maschio. Il 20 febbraio 1909 Filippo Tommaso Marinetti nel suo Manifesto dei Futuristi declama: “Un automobile da corsa … è più bello della Vittoria di Samotracia”. Allora, insomma, questo nuovo veicolo è decisamente, formalmente e futuristicamente maschile? Oppure no?
Oggi non c’è alcun dubbio e per fortuna non se ne discute più; il sostantivo automobile “vettura a motore a quattro ruote”, è femminile. Come lo è da parecchi anni, anche se, al suo apparire, oscillò di genere e, anzi, si propose più spesso al maschile che non al femminile. Allora, ma forse oggi meglio per tutti, questo mezzo sarebbe potuto essere una creatura androgina! Nel 1905 però anche un altro illustre grammatico e poligrafo, Alfredo Panzini, così scrive di automobile nel suo prezioso Dizionario Moderno: “in origine aggettivo poi sostantivo per indicare quella vettura da diporto, spavento dei viandanti, elegante, signorile, docile e rapidissima in gran voga in Francia e dovunque, la quale si muove da sé con meccanismi ingegnosi e diversi, ma che però attendono ancora il loro perfezionamento. Di qual genere è il sostantivo automobile? Se ne è disputato in Francia e quindi anche in Italia. Il genere maschile tende a prevalere”. Ecco così ben spiegato “un automobile” perché maschile, come definito appunto nel celebre Manifesto dei Futuristi.
Sarà infine Gabriele D’Annunzio a risolvere una volta per tutte la questione della sessualità del nuovo veicolo che si muoveva da sè. Nel 1926 scrisse infatti una aulica e spassosa lettera al senatore Giovanni Agnelli, “al datore di ali dal monocolo alato”, in ringraziamento dell’auto che aveva ricevuto in dono.
Un ennesimo regalo che i vari imprenditori italiani dell’epoca inviavano al “Vate”, nel dorato esilio di Gardone, per ingraziarsene le simpatie ed attuare conseguenti azioni di marketing per i loro prodotti!
“Mio caro Senatore, in questo momento ritorno dal mio campo di Desenzano, con la Sua macchina che mi sembra risolvere la questione del sesso già dibattuta. L’Automobile è femminile (sottolineato ndr). Questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità d’una seduttrice, ha, inoltre, una virtù ignota alle donne: la perfetta obbedienza. Ma e per contro, ha la disinvolta levità nel superare ogni scabrezza. Inclinata Progreditur. (sottolineato ndr).
Le sono riconoscentissimo di questo dono elegante e preciso. Ogni particolare è curato col più sicuro gusto, secondo la tradizione del vero artiere italiano. Per consacrare l’accertamento del genere masch. o femm. ormai determinato dalla novissima macchina, Mastro Paragon Coppella, orafo del Vittoriale, osa offrire alla Sua figliuola e alla Sua nuora questi infallibili talismani.
Le stringo la mano. Il Suo Gabriele D’Annunzio”.
Mbè! Almeno aveva contraccambiato la “concreta gentilezza” ricevuta con due minuscole tartarughine d’oro, il suo simbolo, come era comunque solito fare con i benefattori o gli amici più cari. Ma la Fiat era la Fiat, “parola della volontà e della creazione”, come allora diceva lui, mentre oggi, ahinoi, si è rivelato tutto il contrario.
D’Annunzio, che possedeva un forte spirito audace e futurista (ci vedeva pure abbastanza lungo, malgrado il monocolo! e non a caso, infatti, fu soprannominato ”il Vate”), capì subito che l’automobile, ormai definitivamente femminile, avrebbe non solo conquistato i cuori degli uomini ardimentosi ma sarebbe stata anche una importante conquista tecnica al loro servizio, oltre che al loro piacere. L’automobile divenne infatti la protagonista di un futuro esaltante che avrebbe cancellato ogni traccia dello storico passato, fatto di carri e di somari.
“– Mi amate?
– Non so.
– Vi prendete gioco di me?
– Tutto è gioco.
Il furore gonfiò il petto dell’uomo chino sul volante della sua rossa macchina precipitosa, che correva l’antica strada romana con un rombo guerresco simile al rullo d’un tamburo metallico”.
Una delle affascinanti pagine del romanzo “Forse che sì forse che no”, pubblicato nel 1910, in cui l’auto e l’aereo sono i veri protagonisti e non certo Paolo e Isabella. Sarà l’aereo, infatti, a uccidere un personaggio scomodo come sarà l’auto che ucciderà la rondine innocente e farà fuggire una innocua mandria di buoi atterrita dall’incombente frastuono. Il nuovo, ma femminile e capriccioso veicolo, va avanti spedito travolgendo anche l’innocenza e la quiete… non solo delle orecchie!
Ed è sempre D’Annunzio ad elevare questa maschia passione per il femmineo macchinismo che finalmente si sublima quando “con la destra il furibondo afferrò la leva, accelerò la corsa come nell’ardore di una gara mortale, e sentì pulsare nel suo proprio cuore la violenza del congegno esatto”. Qui si stava praticamente consumando un inconscio orgasmo, nel senso del possesso materiale, erotico, intenso e soprattutto passionale del mezzo. L’automobile ora è proprio femminile. Non c’è dubbio.
In quello stesso anno, nel 1910, dalle ceneri della fallita casa francese Darraq, nasce a Milano l’Alfa Romeo, futuro maschio simbolo motoristico della velocità più pura e della passione più intensa. Ed è ancora D’Annunzio, nei primi anni ’30, sognando di immedesimarsi in questo pensiero, a individuare nel binomio Alfa Romeo-Nuvolari, ormai sempre vincenti sulle piste di mezzo mondo, la timida rinascita del suo spirito, che va ormai sopendosi in un corpo stanco e recluso nei forzati ozi di Gardone, e l’esaltazione della femminile passione che vede nella vittoria e nella velocità il fine ultimo dell’uomo.
Nel 1932 D’Annunzio, coinvolto e folgorato dalla leggenda che l’Alfa Romeo stava sempre più consolidando a suon di vittorie, rivolge una espressa richiesta al locale prefetto, che ne garantiva “l’esilio”, per invitare a Gardone il mitico Nuvolari accompagnato dal re dei collaudatori dell’Alfa Pietro Bonini, il cui figlio Bruno ne seguirà poi gesta e tradizioni. I due gli illustreranno e lasceranno in dono la nuova berlina 6C 1750 mentre il Vate faceva loro giurare le future conquiste. Per l’italica vittoria! Anche per loro il dono con dedica della aurea tartaruga: “all’uomo più veloce del mondo, l’animale più lento”.
A noi, cui verrà tolto il piacere, pare, della guida brillante e di udire il brontolio esaltante del motore a scoppio per far contenta la onnipresente Cina e i tanti esuberanti gretini, resteranno forse dei rimpianti per le passioni che hanno esaltato i maschi del ‘900, e non solo loro; ci dovremmo, anzi vi dovrete, accontentare di un asettico ed elettrico silenzio e di un costante frusciar di gomme. Peggio che andare sferragliando sul tram fra antichi palazzi rivestiti di anonimi cappotti!
Stefano d’Amico
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