Una volta c’erano i Florio
Da metà ‘800 ai primi anni ’30 Palermo fu una delle città più animate e brillanti d’Occidente. I più importanti nomi d’Europa, dell’aristocrazia e della cultura, alloggiavano a Villa Igiea o al Des Palmes (V. Nota), ma i più illustri si contendevano l’ospitalità nei palazzi sontuosi di alcune “agiate” famiglie palermitane. Erano i Trabìa, i Ganci, i Lanza, i Cutò, i Villafranca, gli Scalea, i Mirto, i Bordonaro, i Notarbartolo e ovviamente i Florio; erano tutte antiche famiglie, esclusi i Florio, un tempo legate alla casa e alla corte borbonica, cui si contrapponevano quelle inglesi non certo per antico blasone quanto per consolidate fortune derivanti dal commercio di un vino dolce ed eccellente, all’uso del madera, meglio noto come il marsala, di cui furono coltivatori avveduti e preveggenti; vini che allora venivano serviti nei salotti più esclusivi di mezzo mondo. Erano i Woodhouse, gli Ingham, i Whitaker, i Sanderson, gli Hopps, … anch’esse famiglie importanti che mai però riuscirono ad integrarsi con quelle “siciliane”, ma ne erano spesso acerrime concorrenti, pur cortesi e sorridenti ma perennemente animate da un forte snobismo tutto anglosassone. Un aneddoto ne racconta perfettamente il clima che correva fra loro. Giusto a inizio secolo (il ‘900) ci fu un importante ricevimento in “casa” Whitaker, la sontuosa Villa Malfitano in piena via Dante, e naturalmente furono invitati anche i Florio. Anzi, vi erano attesi, particolarmente donna Franca. La quale arrivò proprio quando il ricevimento stava per finire e ormai, con generale delusione, più non la si aspettava. All’annuncio che invece stava arrivando, la signora Whitaker andò ad attenderla sulla soglia del palazzo e l’accolse con una gelida frase che fece scalpore: “Se io fossi venuta a casa vostra, a quest’ora sarei a casa mia!”. Donna Franca ovviamente girò le spalle e se ne tornò alla sua carrozza.
Erano certo altri tempi, altre culture, altre mentalità. Due società e due modi di vita completamente diversi come fu completamente diversa la storia delle due famiglie; la completa rovina economica dei Florio, sempre vissuti, come diceva Sciascia, nel “mito di uno splendido sperpero” e il consolidamento invece del cospicuo patrimonio dei Whitaker che alla loro estinzione nel 1971 lasciarono tutto alla Sicilia che li aveva ospitati e arricchiti.
I Florio erano i protagonisti indiscussi della vita sociale e mondana di Palermo. Ignazio Jr. per le sue attività imprenditoriali e amatorie, entrambe sparse ovunque, Vincenzo Jr. per le sue imprese sportive, particolarmente la Targa Florio, intese come modello di civiltà ed eleganza, che richiamarono sulla città e sulla Sicilia ulteriore attenzione internazionale e l’interesse anche delle prime case automobilistiche che volevano sfruttare tanta popolarità per emergere sui mercati. Pare che Ignazio, tra le sue numerose avventure, sia stato l’amante anche di Lina Cavalieri e sua moglie Franca organizzò (= sponsorizzò) un “partito” di dame per fischiarla ad ogni apparizione, sulle scene e sulla strada. La bibliografia delle storie e degli aneddoti, alcuni spassosi altri tragici, che riguardano i Florio potrebbe riempire vari volumi e il lettore incuriosito potrà trovare ampia soddisfazione sulle riviste dell’epoca e in numerosi e ben documentati libri sulla leggendaria famiglia; su quelli più attenti però, assai meno su quelli troppo romanzati.
I Sovrani d’Italia, Vittorio Emanuele II e la Regina Elena, il Kaiser Guglielmo II di Germania e l’Imperatrice Vittoria Augusta, lo Zar di tutte le Russie Nicola II e la Zarina Alessandra, il Re d’Inghilterra Edoardo VII e la Regina Alessandra, visitarono ripetutamente Palermo per la mitezza del clima siciliano, dicevano, ma in realtà per accogliere le “insistenze” delle regali consorti e soddisfare la loro curiosità per la riconosciuta “grandeur” mondana di donna Franca, l’unico faro dell’epoca del saper fare e del saper vivere italiano, come un Lorenzo dei Medici al femminile. Furono tutti ospiti frequenti dei Florio, riconosciuti ed invidiati punto di riferimento per sovrani, aristocratici e banchieri di mezza Europa costituendo un modello per il costume, il buon gusto, l’effimero, la mondanità di quei decenni; gli attori di una vita spensierata pur di fronte alle tragedie delle guerre incombenti e ai gravi disagi sociali ed economici del tempo senza capire che stava impietosamente calando il sipario sulla scena della loro vita. Il mito dei Florio, del loro tenore di vita appunto, delle loro dimore lussuose sparse ovunque, dei loro yachts, dei loro fasti insomma è senz’altro dovuto a donna Franca, che per circa un trentennio fu regina incontrastata della scena mondana palermitana, italiana, internazionale. E’ anzi in lei che il mito si è creato e ha preso vita, nella sua figura “voluttuosa, ardente e svogliata”, decantata anche da D’Annunzio e immortalata da Boldini e Canonica. Il solo nome tuttora evoca fascino, bellezza, ricchezza, fatuità. Tutto a lei faceva capo e tutti a lei si ispiravano. Ma fu proprio dalla loro rovina che, secondo me, il mito dei Florio prese via via forza e fama leggendaria. Se non ci fosse stata la rovina rapida e tragica dei Florio forse non ne sarebbe sopravvissuto il mito. Come è accaduto per i Whitaker, peraltro inglesi e quindi stranieri in quella terra, che pur hanno fatto molto per promuovere non solo i loro interessi ma anche l’arte, la cultura e la storia della Sicilia ma nessuno oggi neppure li ricorda o ne ha mai sentito parlare.
Palermo godeva e si beava di queste manifestazioni di lusso, di voluttà, di splendore, che ruotavano intorno ai Florio e a donna Franca in particolare, sempre circondata dalla sua corte di dame ingioiellate che dettavano le regole della moda, della mondanità, della gran sete di vivere e di esibirsi, magari in ricevimenti di beneficienza che però venivano organizzati nell’ambito di una costante e sontuosa scenografia. I giornali italiani e stranieri riempivano le loro pagine sulla vita e le gesta di donna Franca, “fata della carità”, “angelo del bene che serve regnando”, “con dame scintillanti di risplendenti toilettes e di abbaglianti diamanti da cui dardeggiano sprazzi di luce di ogni colore” persino alla festa di Santa Rosalia, patrona di Palermo (“L’Ora”, giornale di Palermo, di cui Florio era editore, nella sua rubrica più seguita: Le dame, i cavalieri, le armi).
Negli alberghi occupavano un intero piano tra le persone di servizio e i maggiordomi che si portavano dietro, immancabilmente presenti ed apparentemente operosi ma, forse, anche inutili nell’ambito di alberghi sempre tanto prestigiosi. Però per i Florio era il prezzo imposto dall’immagine e dall’ostentazione divenuta caratteristica della famiglia. Nei viaggi i gioielli di donna Franca erano contenuti in un sacco in maglia d’oro con dentro collane, anelli, diademi e preziosi vari, molti dei quali donati persino da Sua Maestà la Regina Elena che, si dice, ne fosse una segreta e un po’ invidiosa ammiratrice. Un valore (nel solo sacchetto da viaggio, non certo nella cassaforte!) calcolato in oltre quattro milioni di lire… nell’epoca! (svariati milioni di euro dei nostri giorni), quando lo stipendio medio di un operaio si aggirava sulle 150/200 lire al mese.
Palermo, primi del ‘900. Donna Franca Florio, nata Jacona Notarbartolo di San Giuliano e Giulia Lanza di Trabia.
Il nuovo secolo e le nuove regole che esso imponeva, vistosamente emerse peraltro nell’ambito dell’Esposizione Universale di Parigi, capitale d’Europa e Ville Lumière, stavano implacabilmente cancellando i vecchi e antiquati sistemi, soprattutto quelli sociali e di fare impresa. Mentre infatti anche nell’Italia del nord si stava sempre più diffondendo una industrializzazione attenta e multiforme, sobria e costante, in Sicilia c’erano invece solo i Florio e le loro più disparate attività. Così purtroppo già dalla fine del primo decennio del ‘900, sullo sfondo delle loro innumerevoli iniziative imprenditoriali dal marsala al tonno in scatola, dalle società di navigazione a quelle editoriali, dalle industrie meccaniche a quelle di ceramica e ancora tante altre, iniziarono a manifestarsi sempre più evidenti i segni, spesso tragici, di difficoltà sempre crescenti e della decadenza sempre più incombente. Anche il capitalismo italiano, in ascesa costante al nord, come abbiamo ricordato, influì non poco nel crollo quasi repentino dei Florio attuando una selezione operativa dei vari settori economici in base ad aree geografiche ben definite escludendo, anche per più semplice e meno costosa strategia di rapporti, quasi tutte le aree produttive isolane divenute ormai meno agili e ancora legate tradizionalmente a sistemi locali e piuttosto feudali.
Il leone bevente, leo bibens, simbolo della Casa fin dai primi dell’800, stava ormai morendo di sete così come la continuità e l’unità della famiglia anche per la morte prematura dei giovani figli di Ignazio, che ne causò forti stati depressivi, trasformandolo da finanziere in dissipatore e facendo perdere alla coppia ogni senso di prudenza e responsabilità. A tanto quasi improvviso smarrimento contribuì anche la mancanza di figli e di interesse imprenditoriale da parte del fratello Vincenzo, pur con i suoi due matrimoni. Ed ecco che subito la consueta impietosità della vita li abbandonò, ignorandoli quasi di colpo e relegandoli non più sulle cronache mondane di mezzo mondo quanto piuttosto su quelle fallimentari o giudiziarie. Il nome dei Florio sopravvive oggi sulle etichette del celebre Marsala e sulla rievocazione del sogno di Vincenzo Jr., la Targa Florio. La loro dinastia si è definitivamente spenta di recente (2020) con la prematiura scomparsa di donna Costanza Igiea Afan de Rivera Costaguti, cara amica e nipote diretta di donna Franca Florio (nata Jacona Notarbartolo di San Giuliano), figlia di sua figlia Giulia.
NOTA:
Villa Igiea. Magnifico hotel di lusso sul mare, località Acquasanta, proprio sotto il Monte Pellegrino. Ideato inizialmente come sanatorio fu trasformato in un hotel prestigioso, e certamente più redditizio, da Ignazio Florio Jr. e inaugurato proprio all’inizio del nuovo secolo, il 1900. Un architetto in gran voga, amato dai Florio, Ernesto Basile, ne disegnò lo stile floreale e splendido ispirato ai simboli e all’eclettismo dell’art nouveau. Le sale furono affrescate da Ettore De Maria Bergler, che realizzò anche un bellissimo ritratto di donna Franca, che ne seguì personalmente tutti i lavori, e da Giovanni Enea mentre il mobilio fu opera del famoso ebanista Vittorio Ducrot. Fu frequentato dai potenti e dai ricchi della terra, nonchè dagli stessi Florio che li accompagnavano; un inno della Belle Epoque e del suo declino. Ancora oggi si avvertono in quegli ambienti così esclusivi e particolari i sospiri e lo spirito di un mondo colto, elegante e raffinato ormai tritemente scomparso.
Hotel Des Palmes. Un altro storico e lussuoso albergo di Palermo, in pieno centro e a pochi passi da Piazza Politeama e dal Tatro Massimo. Fu inizialmente costruito come sontuosa residenza privata a fine ‘800 dai concorrenti inglesi dei Florio, i Whitaker e gli Ingham, che la cedettero nel 1907 al cavaliere Enrico Ragusa per farne un albergo che potesse far concorrenza a Villa Igiea. Non a caso fu dato incarico allo stesso architetto Ernesto Basile per ristrutturarlo e arredarlo. Ospitò Richard Wagner che vi compose il Parsifal (si dice che il mobilio della sua stanza profumi ancora di rose), lo scrittore Raymond Roussel, il quartier generale americano nelle ultime fasi della II Guerra Mondiale e … negli anni’50 un famoso summit tra i grandi capi di Cosa Nostra e i colleghi della Mafia americana. Ma queste sono altre storie …
Stefano d’Amico
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