Bellezze e Valori a 4 Ruote
Definire la bellezza è sempre stato un argomento che ha animato per secoli le grandi corti e i più raffinati salotti europei, fin dal 1500; pensate a Firenze e allo splendore della corte di Lorenzo il Magnifico, per poi arrivare ai primi del ‘900 con il dilemma dei futuristi capitanati da Marinetti, Boccioni, Balla, Sironi, Carrà,… che nel loro Manifesto del 1910, quando nasceva l’Alfa Romeo che il Futurismo pose a suo simbolo, declamavano che era più bella una vettura da corsa con gli scarichi infuocati piuttosto che la Vittoria di Samotracia.
L’automobile, simbolo del cambiamento sociale, avrebbe dovuto superare tutto e tutti, correndo avanti spedita e lasciandosi alle spalle non solo le antiche arti ma anche un passato buio e lento, fatto di inutili formalismi e di nere redingote. Il passato è passato e resta indietro, come le vecchie opere d’arte, ferme su un piedistallo o attaccate a un chiodo. L’automobile se le deve lasciar dietro e correre veloce verso il futuro e lo spazio. La Velocità e il Dinamismo furono le nuove divinità.
Per noi, con la nostra passione per le auto e i motori, per noi che non siamo né filosofi né profondi pensatori (parlo per me), ma ci godiamo il presente finché si può, la risposta è già scontata. Però, per togliervi ogni dubbio, quando un giorno vi troverete a Parigi, andate al Louvre, provate a prendere uno sgabello e a sedervi in cima allo scalone davanti la statua della Vittoria di Samotracia, nota come la Nike, o davanti la mitica Gioconda. Guardate per bene queste illustri, storiche, famose opere d’arte studiandone tutti i particolari… e poi magari, tornando, andate a Maranello e sedetevi in un altro e ben diverso Museo, davanti stavolta a una Ferrari 250 GTO.
Ho voluto citare quanto di più importante ed eccelso ci sia per indicare tre opere nel mondo dell’arte e dei motori, tre opere famose realizzate dall’estro umano la cui bellezza però è piuttosto soggettiva, dipende cioè da chi le guarda, soprattutto dalla cultura e dallo spirito con cui le si guarda. Della Nike cosa dire? Che l’ha scolpita, pare, un certo Pilocrito nel 200 a.C., e che per sua innata beltà e dinamica posa abbia ispirato lo Spirit of Ectasy, quell’argentea statuina che sfida il vento sul cofano delle Rolls Royce; della Gioconda poi cosa vuoi dire? che è famosa solo perchè l’ha dipinta Leonardo da Vinci, non un Pinco Pallino cinquecentesco, e non spicca certo per femminea beltà. Anzi, non vorrei bestemmiare, ma a me sembra anche un po’ racchia. Dice: erano i canoni di beltà di allora! E vabbè, ma oggi siamo nel 2024 e francamente a me questa “celebrità” dice poco! Né da viva, quando la Gioconda lo era, né da dipinta.
La Ferrari 250 GTO del 1962 già solo al nominarla evoca riverenza, come le due opere sopra citate; essa però è viva, è un’auto dalle linee sinuose, dolci ma aggressive, da vera auto emiliana, che può andare dove vuole e come vuole, anzi come vuoi tu! Un inno alla purezza delle linee e alla velocità che la anima. Con un valore venale oltre che sportivo anche elevatissimo, oggi superiore addirittura a un quadro di Van Gogh!
Non molti anni fa è scomparso il barone Giorgio Franchetti, un personaggio straordinario di cui abbiamo a lungo ricordato e raccontato. Fu, come noto, anche uno dei primi collezionisti di auto d’epoca oltre che di stupende opere d’arte moderna, di cui fu mecenate e promotore, nonché il massimo esperto di Futurismo. Quale binomio di passioni tanto affini! Sosteneva infatti senza mezzi termini che un’auto d’epoca è anch’essa un’opera d’arte, e come tale va trattata. Già la sola parola “auto d’epoca” fa capire che anch’essa è degna di rispetto e di interesse; bisogna pensare infatti che anch’essa è una invenzione ed una creazione dell’ingegno e dell’estro umano.
Per i miei gusti però il concetto di bellezza per un’auto lo concepisco solo per un determinato periodo storico, quello delle vetture postbelliche costruite dagli anni ’50 ai ‘70, quelle cioè progettate e disegnate dall’uomo e non da modelli matematici e da un computer. Le vetture precedenti, pur belle ed opulenti, eleganti e affascinanti come la Duesemberg, altro non erano che delle carrozze motorizzate, quindi auto-mobili, in attesa del loro divenire.
Oggi le linee delle vetture, il design cioè delle loro carrozzerie e persino della loro meccanica viene studiato e realizzato dai computer o dall’AI che devono tener conto di tanti presupposti, da noi poveri umani certo impostati ma non creati, per poter essere moderne e soprattutto green nonché aderenti alle varie normative oggi in essere. Come appunto le auto cinesi, ma anche tante europee a loro ispirate, tutte uguali e spigolose, fredde e anonime. Guardandole, ammesso che si trovi piacere a guardarle e a riconoscerle, certo il concetto di arte e/o di bellezza è assolutamente inesistente. Conta solo la loro utility e, ovviamente, il loro prezzo.
Proprio negli anni 50/70, quelli appunto per me più fecondi per trovare la nostra bellezza motoristica, le auto venivano fatte a colpi “de… core”, come si dice a Roma, e di martello. Battilastra abilissimi trasformavano le loro lamiere in linee sinuose ed invitanti. Erano i Fantuzzi, i Pininfarina, i Bianchi Anderloni della Touring, Boano, che per tradizione erano chiamati semplicemente carrozzieri, mentre i vari Giugiaro, De Silva, Ramacciotti, Bertone, Scaglione, Revelli di Beaumont, Scaglietti, Gandini erano i veri designer, quelli insomma, che pur lavorando per conto terzi, erano talmente abili e virtuosi che dovrebbero essere definiti semplicemente artisti.
Le auto, quelle così belle, quelle che io mi sono definito così belle, come le sinuose Ferrari o diverse altre del periodo come le Lancia, le Alfa Romeo o le Lamborghini, che passavano per le matite e le mani di quei designer, si guidavano con i muscoli e con la maestria, puzzavano di olio e di benzina, e facevano anche un gran bel rumore, magari pure fumoso. Ma si godeva e tuttora si gode tanto nel guidarle e tanto anche nel guardarle. Come nel desiderarle o nel rimpiangerle. Sapevi quanti chilometri avresti potuto fare, magari andando forte, dove fermarti per far benzina in cinque minuti e ripartire rombando!
Oggi sali in auto e non fai quasi più nulla, neppure pensare; potresti, se hai coraggio, persino leggere il giornale pur essendo al posto di guida. Sono le auto a guidare, da sole, esse leggono i segnali ed i semafori, persino i pedoni che ti attraversano davanti possono (forse) star tranquilli, auto che stanno attente a non oltrepassare le strisce bianche, auto che ti riempiono di bip bip ogni istante. Auto intelligenti. Sempre più intelligenti perché ogni giorno appare un meccanismo nuovo che vuol parlare con te annullando il tuo pensiero. Anzi, tra non molto, forse queste auto moderne e “autonome” ti porteranno addirittura dove vorranno loro e non certo dove vorrai tu!! E così, anch’esse, ti porteranno appunto a non pensare più…
Recentemente abbiamo visto i razzi di Elon Musk, come lo Starship, che decollano, fanno i loro giri e tornano autonomamente a posizionarsi proprio là, nelle stesse torri da dove sono stati lanciati. E’ il futuro. Che dire?… Penso che quel tipo di bellezza motoristica che noi abbiamo veduto e vissuto, qui descritto e sempre amato sia già finito. Si, dico motoristica, non solo automobilistica, pensate infatti allo charme del treno Settebello, pensate ai lucidi legni dei motoscafi Riva o alla purezza aerodinamica del Concorde,… tutto si evolve e tutto cambia; anche i canoni della bellezza. Essi non esisteranno più. Saranno l’utility e l’Intelligenza Artificiale a pensare e a decidere per noi cosa sarà bello e cosa sarà utile offrendoci anche un biscottino la sera, per farci contenti prima di andare a letto.
Il bello del futuro credo sarà assai diverso. E per chi non ha vissuto e goduto del passato ci sarà un nuovo format cui attenersi. E forse questo varrà non solo per la GTO ma anche per la Gioconda o la Nike di Samotracia. Andremo verso la scomparsa dei vecchi canoni e l’adeguamento a nuove forme e a nuovi valori. All’appiattimento quindi della cultura e della conoscenza, nemici della futura società. Sarà l’intelligenza artificiale a dettare i nuovi canoni e le future forme di vita. In fondo l’esperimento covid ha già fatto scuola.
La bellezza per essere definita tale deve arrecare benessere, deve destare soddisfazione, piacere, gioia ma essa non è mai solo un fattore estetico; essa è sempre assai soggettiva perchè deriva dai nostri valori sociali, culturali, storici,… e proprio in funzione di questi ha anche un “prezzo” e tanto più sono profondi quei nostri valori tanto più ne “apprezziamo” i contenuti e quindi la disponibilità a pagarne il valore, un valore da noi creato e da noi accettato.
Nella storia, soprattutto nel Rinascimento, erano i potenti del tempo a circondarsi di artisti e di studiosi per promuoverne genialità ed impegno per trarne non solo piacere personale ma anche profitti. Il loro mecenatismo, il loro gusto per la bellezza ha riempito per secoli i musei del mondo. Negli anni ’50, quelli del dopoguerra, quelli del voler tornare a vivere e a far resuscitare passioni e cultura è sorto anche il piacere di recuperare, restaurare, conservare automobili del passato per il proprio esclusivo piacere. Un piacere che poi con il tempo si è trasformato in una nuova forma di commercio e di “affari” alla quale da alcuni anni hanno posto attenzione persino vari fondi d’investimento, inizialmente solo americani, attenti come sempre ad ogni forma di business.
Questi istituti hanno infatti acquistato particolari auto d’epoca, come anche alcune opere d’arte, non solo per la loro bellezza ma per il loro “valore” che secondo il mercato e l’interesse dei media, più che degli esperti, potrebbe essere destinato a crescere ed essere quindi trasformato da oggetto di piacere a puro titolo di investimento. Bellezza che in questi casi diventa compagna del valore; una bellezza questa che noi stessi abbiamo creato e un valore che noi stessi le abbiamo attribuito. Così come avviene in ogni campo del viver sociale e quindi anche in quello prettamente automobilistico.
Diversamente dal collezionista vero, che è anche un appassionato vero, e compra l’auto d’epoca o un quadro, o una qualsiasi opera d’arte, perché gli piace e basta; perché ne conosce l’autore, la storia ed ogni suo particolare. A differenza del vanitoso che compra qualcosa di costoso e magari appariscente solo perché piace agli altri.
Proprio per i motivi che accennavo prima, il valore della bellezza è oggi in genere indubbiamente conseguenza non tanto del gusto quanto del mercato. La mancanza, ahimè, piuttosto diffusa di cultura del settore ne decide la bellezza intesa appunto come valore. È sempre stato il mercato, infatti, a dare e definire un prezzo alla bellezza.
È come l’immancabile curioso che in ogni raduno di belle auto invece di chiedere chi l’ha fatta, che cilindrata ha, che storia ha, rifila un paio di calci a una gomma o bussa con le nocche sui parafanghi, chissà poi perché, e infine chiede: quanto vale? Il mercato oggi è fatto dalla richiesta più che dall’offerta. Come sempre e come per ogni cosa di interesse.
L’auto storica è diventata da anni oggetto di moda grazie alle diverse rievocazioni di corse mitiche e dei numerosi eventi che le mostrano, tutti esaltati dai media, dalla TV, dalle migliaia di pubblicazioni sull’argomento, dai social e ovviamente dalle grandi aste internazionali che, avendone percepito il grande, interesse ne stabiliscono ormai valori e quotazioni. Essi vengono fuori certo dalla loro storicità ma prevalentemente dal loro marchio, dall’eccellenza meccanica, dai loro designer, dalla storia sportiva o meno, dal numero di esemplari prodotti, dai proprietari, dalla documentazione insomma che accompagna il veicolo. Purché essa sia certificata e reale. L’interesse è tale che di esse se ne sono fatte anche delle repliche, più o meno fedeli all’originale, ma anche dei veri e propri falsi, come ogni importante opera d’arte, come peraltro è sempre avvenuto da secoli. Ed esiste un fiorente mercato per tutti ove spesso persino le istituzioni hanno individuato intorno ad esse azioni di truffa e di riciclaggio. I tempi stanno però radicalmente cambiando. I giovani, se non sono appassionati, ed è raro perché il gioco è costoso, o acculturati, ed è ugualmente raro, mi sembra se ne freghino altamente delle auto d’epoca e della loro bellezza o bruttezza. Alcuni non hanno neppure la patente! Basta osservare l’età media dei partecipanti agli eventi motoristici. Allora godiamoci il presente e viviamo con gioia le nostre passioni,… finché esse dureranno!
Stefano d’Amico
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