L’altro Franchetti
A circa 50 chilometri da Roma, arrampicato su uno sperone tufaceo che sovrasta la Valle del Sacco, sorge l’antico paese di Genazzano, già feudo dei Colonna che vi costruirono un imponente castello nel 1053 mantenendolo ed ampliandolo nel corso di ben nove secoli! Danneggiato purtroppo durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale fu acquistato nel 1979 dal Comune che lo restaurò e ne fece sede del Centro Internazionale d’Arte Contemporanea. Nel 1986, tra luglio e ottobre, Achille Bonito Oliva, uno dei più noti critici d’arte italiani, vi organizzò una mostra molto interessante, di cui fu regista e curatore, dedicata appunto a molti artisti contemporanei le cui opere facevano tutte parte della imponente collezione romana di Giorgio Franchetti. Dell’evento fu stampato un bel catalogo, ormai piuttosto raro, dedicato a questa straordinaria mostra titolata SOGNO ITALIANO – La Collezione Franchetti a Roma che ebbe ovviamente molto successo e contribuì non poco a promuovere ulteriormente l’immagine e i lavori dei tanti artisti di cui Franchetti fu attento mecenate e cultore. Non fu certo un’operazione facile per Bonito Oliva che riuscì abilmente a stanare dalla sua riservatezza Giorgio Franchetti, personaggio notoriamente schivo e scontroso, per convincerlo ad esporre la sua collezione e a raccontare in una brillante e lunga intervista le motivazioni di una passione tanto intensa che spaziava dall’arte alle automobili d’epoca. Dall’arguta intervista emerge forte la personalità di Franchetti abbinata a un caldo entusiasmo di cuore e a una candida semplicità di vita che si palesano con la noncurante perdita di un bel quadro di De Chirico che, sotto una pioggia intensa, viene ghermito dal vento sul portabagagli di una macchina e se ne vola via perdendosi nei prati allagati nella più totale indifferenza.



Abbiamo raccontato a lungo del barone Giorgio Franchetti Jr. “automobilistico” (1920-2006), ora tocca all’altro Franchetti, quello animato anche da un’altra intima, forte e forse più vera passione, quella che ha riempito tutta la vita di questo eclettico personaggio romano. L’arte, e in particolare l’arte moderna in tutte le sue forme ed espressioni promuovendone artisti, iniziative ed eventi. Una passione ed una cultura certamente ereditate dal suo omonimo nonno (1865-1922), gran collezionista di opere d’arte rinascimentale il quale per ospitarle e conservarle comprò nei primi del ‘900 addirittura uno dei palazzi più belli di Venezia, la Ca’ d’Oro, che da anni giaceva ormai abbandonato ed in pessime condizioni. Lo restaurò e ne fece sede della sua collezione che nel 1916 donò allo Stato italiano ed oggi è tuttora uno dei più suggestivi ed importanti musei della città.


La storia dei Franchetti, praticamente tutti, tra l’800 e il ‘900, è davvero affascinante e il lettore curioso potrà trovare ampia soddisfazione in varie pubblicazioni sul loro conto e nei cataloghi di tante magnifiche mostre, da loro promosse o a loro dedicate, ancora più o meno reperibili. Ma a noi, appassionati di motori, e ovviamente della loro storia, amiamo ricordare il nostro amico Giorgio, il ruvido nipote in famiglia detto Junior, non solo per un forte sentimento di antico affetto ma anche per riconoscimento dei tanti valori che ha voluto trasmetterci, automobilistici certo, nel mio caso, ma anche culturali e artistici. Da ragazzo lo frequentavo spesso sia nel corso di qualche restauro automobilistico (ricordo in particolare quello di una Fiat 501 da corsa) sia, con curioso divertimento, nelle sue frequentazioni artistiche tra personaggi affascinanti ed eccentrici, quelli della Scuola di Piazza del Popolo, quelli dei quali l’arte si ma anche i piaceri della vita erano i fondamenti della loro esistenza quotidiana. Tra essi feci amicizia con Pino Pascali (1935-1968), uno dei suoi protetti, con cui condividevamo la passione per le moto, e insieme al meccanico Franco Menichelli lo aiutammo a modificare la sua Guzzi V7, da lui ridisegnata, con alti scarichi e tante cromature; una moto assai appariscente con cui si ammazzò scivolando su una macchia d’olio nella salita del Muro Torto a Roma (moto finita poi nella collezione Franchetti) dopo aver lasciato pochi minuti prima alcuni amici e Giorgio stesso seduti, come al solito, a ragionar d’arte e di vita al bar Rosati; in Piazza del Popolo appunto.






Ma tornando alla lunga intervista di Bonito Oliva al Franchetti, mi piace riportarne alcune parti dalle quali traspare forte la personalità semplice e scanzonata di un uomo che ha potuto e ha saputo realizzare la propria vita nel segno delle sue passioni.
Bonito Oliva: “… quando hai compiuto il tuo primo gesto concreto ed economico verso il collezionismo ?”.
Franchetti: “… nel 1940, mi pare, quando conobbi De Chirico e poiché mio padre aveva un appartamento a pianterreno libero a via Gregoriana, e me ne lasciava l’uso, gli offrii di fare una mostra e diventare un po’ il suo mercante. Poi c’era la guerra, dovetti partire in aviazione, dove ero ufficiale, e per dargli prova della mia disponibilità gli comprai un quadro… forse il più brutto che De Chirico abbia dipinto, una testa di fanciulla che però a me chissà perché era piaciuto, però l’ho perduto perché, dopo la guerra, andando in macchina a Cortina si sgonfiò una gomma. Dovendo scaricare la macchina per sostituirla con la ruota di scorta, mettemmo i bagagli sul tetto tra cui il quadro di De Chirico (!!!) , e questo De Chirico non bene assicurato se ne volò via. Per cui sarà un reperto di qualche scopritore di opere d’arte fra qualche secolo nelle campagne del ravennate”.
“Alcuni amici romani galleristi (N. Plinio De Martis) e artisti, soprattutto Afro e Burri, … mi parlavano nel 1957 di diversi pittori americani che stavano ottenendo molto successo per cui ne fui interessato e andai a New York per due o tre mesi e li conobbi tutti, da Rothko a Kline, … . Cy Twombly arrivò a Roma nel ’57, un pittore americano che disegnava sulla tela bianca i disegni dei graffiti, quando arrivò si fermò a casa di Alvise de Robilant, mio vecchio amico che aveva sposato una mode-girl bellissima americana, Betty Stokes, la quale era amica di Twombly. E loro a colazione fecero venire anche mia sorella Tatia, e me, a conoscere questo loro amico, così perché sapevano che mi interessavo un pochino, attraverso una galleria (N. Plinio De Martis) di movimenti artistici. Da quando l’ho conosciuto si è creato un legame che si è approfondito fino al punto di diventare parentela (N. sposò Tatia)”.



Verso i giovani ed estroversi artisti romani il nostro Franchetti ebbe sempre grande attenzione offrendo loro non solo amicizia ma anche un costante sostegno e promuovendone il mercato, talvolta anche con il supporto delle auto d’epoca di cui fu antesignano cultore e gran raccoglitore. Il noto collezionista emiliano Mario Righini, che di Franchetti fu grande amico, ricorda con il sorriso sulle labbra e negli occhi un suggestivo evento organizzato a Roma dal Franchetti, in Piazza Navona, nei primi anni ’70 dove volle invitare molti possessori di belle auto “vecchiotte” per schierarle a raggiera nell’ovale della mitica piazza e ponendo davanti ciascuna di esse un’opera dei vari artisti del suo “gruppo”. Le opere vennero sistemate dai vari assistenti mentre gli ospiti erano stati tutti invitati dal Franchetti al bar Tre Scalini per un aperitivo. E Righini, presente con la sua bella Alfa Romeo 6C 1750 Garavini, di colore verde, tornando accanto alla sua auto e non a conoscenza dell’”operazione” artistica di contorno, si accorse che qualcuno aveva buttato davanti ad essa una vecchia cassetta di legno e pezzi di carta che lui, con tipiche espressioni emiliane, si affrettò a togliere subito di mezzo prendendola a calci per levarla da lì. Si sentirono delle urla… era il barone che accorreva trafelato gridando come un matto “somaro! stai fermo”, “animale ignorante, cosa fai?” (SIC) e si precipitò a raccogliere con amore la cassetta di legno che, nello stupito sgomento del Righini e disappunto dei vicini, si rivelò poi essere una delle più note opere dello scultore Mario Ceroli, quello che fece uno dei bronzei Trofei Alfa Romeo, di cui la preziosa cassetta fu l’antenata ispiratrice.




Negli anni ’60, quelli del “boom” economico ma anche della dolce vita, Roma era un immenso teatro dove recitavano non solo attori di ogni nazione ma anche artisti di ogni genere, smaniosi di emergere anch’essi e di farne parte. E, continua l’intervista con Bonito Oliva, “quello fu un teatro con Schifano, Festa, Angeli, Pascali, Rotella, Scarpitta,… E noi che facevamo la collezione di auto antiche, facevamo le passeggiate romane portandoci appresso gli artisti, Scarpitta e Rotella insieme a noi, così come a un divertimento fatto con oggetti in movimento perché l’automobile è un oggetto d’arte, quello primitivo, quello iniziale. E quindi c’era un turbinio di vita, di idee, di movimenti di cose che oggi chiamiamo “anni ‘60” per definirlo, ma che era carico di una straordinaria vitalità esistenziale”.
“Mi ricordo una fotografia con Manzoni, Castellani, Agnetti, Tano Festa, Lo Savio, Schifano tutti insieme in un bar, fotografati, ragazzi di vent’anni, da amici, non occasionalmente. Si trovavano, quando venivano a Roma i milanesi; si trovavano come quando andavano quelli di Roma a Milano. La radice è fortemente comune ed è la radice di questa radicalizzazione che naturalmente prende un corso diverso, a seconda del luogo dove si sviluppa, perché è chiaro che Milano non è una città barocca, è una città calvinista, puritana – anche se birichina – ma con tendenze formali verso l’assoluto, verso il radicale. Mentre invece Roma è una città del colore, di Albinoni…”
Bonito Oliva: “ E allora quale fu la generazione – che tu puoi testimoniare – che dopo questi giovani artisti partecipò alla rivoluzione del linguaggio dell’arte?”
Franchetti: “La mia testimonianza? Beh! Io comprai la motocicletta di Pascali con la quale lui si uccise, quella che lui aveva trasformato in un oggetto di rappresentazione perché la vita per Pascali era un teatro. Infatti lui era uno scenografo, ma non per scelta professionale, quanto perché era una scelta esistenziale: il teatro della vita lo portava a correre in motocicletta con le canne dei tubi rialzate fino alle spalle, con tutta la moto cromata da cima a fondo. Era un teatro.”
Ecco la conferma quindi di una autentica autonomia esistenziale di quegli artisti romani. “Certo certo, perché per questi artisti il piacere della vita era una guida, il comportamento infinitamente più importante di qualsiasi carriera… E questa è una cosa generazionale che è testimoniata dal comportamento e dall’esistenza di tutti quegli artisti. Pascali c’è morto, perché si è autodistrutto esaltando il suo ricordo. Tano Festa è un vagulo blandulo che percorre le strade della città dipingendo nelle botteghe dei corniciai quei quadri meravigliosi che è ancora capace di fare, ma completamente distaccato da ogni legame con l’esistenza. E Franco Angeli qualcosa di simile. E Schifano, è chiaro, che cosa vuoi che gli importasse di una carriera? Questi l’hanno rifiutata, hanno distrutto costantemente e organicamente e organizzativamente ogni possibilità di essere inquadrati in un sistema.”



Nella conclusione dell’intervista Bonito Oliva chiede al Franchetti: “Non credi che questi artisti, anche i più giovanissimi, che sono documentati nella mostra, proprio colti in nuce, diciamo, sono tutti portatori di quello che io chiamo un progetto dolce nell’arte, una forma più sistematica?”
Franchetti: “Ah! questo è sicuramente il problema italiano, perché l’Italia non può essere il paese dell’affermazione militare e violenta dei concetti, dei principi. È un paese dove tutto viene mediato, tutto viene assorbito, l’Italia è un paese mediterraneo con i barbari germani arrivati durante il Medioevo, ci sono i califfati che sono diventati mediterranei, è un’India, è un crogiuolo. E quindi tutto questo non può esplodere in un continuo fuoco d’artificio di cannonate, è un fuoco d’artificio di piaceri, di gioie e di divertimenti e non di articolazioni violente”. (Roma, maggio 1986).
Ma oggi, nell’arco di circa trenta anni, tutto è radicalmente cambiato. Il teatro Italia non esiste più, come non esistono più i parchi di divertimento e di gioie ma sono invece arrivate un po’ ovunque le tante articolazioni violente, appena citate da Franchetti, che si espandono sempre più in questo mondo turbolento e in particolare in un’Europa per nulla unita e assai intorpidita, sempre più lontana dalla sua storia e dalle sue tradizioni.
Vive oggi la nostalgia di tempi che furono, di una cultura dimenticata, di ingegni perduti, di storie sepolte, tutto sopraffatto da una Intelligenza Artificiale che penserà, dipingerà, realizzerà e deciderà per noi. Per ora ci resta la passione per le auto d’epoca, quelle che profumano di antico e si guidano senza l’intervento di un freddo computer; quella passione vera e sana che fu di Giorgio Franchetti.

Stefano d’Amico
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