L’Alfa Romeo e la Mille Miglia… una storia in comune
E’ interessante notare come la storia e il mito dell’Alfa Romeo si siano formati e sviluppati in un processo di osmosi con la storia stessa della Mille Miglia, una corsa leggendaria di ben 1600 chilometri, Brescia-Roma-Brescia, sulle strade, si fa per dire, di un’Italia preindustriale e ancora assai arretrata in ogni forma di viabilità. Giungere al traguardo era già un successo. E, come già per la Targa Florio, la vettura vincitrice avrebbe avuto successo anche sul mercato per la “presa” che ebbero sulla gente queste due leggendarie competizioni automobilistiche. La Mille Miglia però, attraversando buona parte dell’Italia centrale in tempi in cui non esistevano video o social, costituiva certamente uno spettacolo più vasto, meglio distribuito sul territorio e ovviamente gratuito, affascinante e coinvolgente, che riscuoteva curiosità, regalava forte risonanza mediatica e quindi garantiva alle Case un’immagine prestigiosa.
La gente di varie regioni poteva assistere al suo passaggio assiepata lungo 1600 chilometri di strade e città facendo il tifo quasi diretto per i propri campioni e le diverse Case, persino dalle finestre e nei bar; un tifo assai acceso provocato sin dai mesi precedenti su tutti i giornali e sulla radio. Era un banco prova che temprava uomini e macchine. Parteciparvi, a fianco dei vari campioni del momento, era non solo un gran vanto cui ambivano ricchi o aristocratici personaggi ma portarla addirittura a termine costituiva già di per sè un alto merito sportivo e, durante un certo ventennio, anche politico. Era insomma una vetrina internazionale che esaltava non solo i nostri impavidi piloti ma anche le capacità tecniche ed organizzative italiane.
Una dedica di Aymo Maggi, “modesto esecutore”, all’”ideatore” Canestrini. I fondatori della Mille Miglia, meglio noti come “i quattro moschettieri”, da sinistra Aymo Maggi, Franco Mazzotti, Giovanni Canestrini, Renzo Castagneto.
Io ritengo che alla fine era l’aspetto umano a prevalere, piuttosto che quello tecnico, era l’Uomo che vinceva, figura impavida e spavalda, anche se spesso il campione di turno veniva abbinato nell’animus popolare alla Casa di cui era rappresentante, ma la figura umana continuava e continua a vivere nella storia e nella leggenda, con la sua “umanità” appunto, i suoi aneddoti e la sua …morte più o meno tragica. Le Case automobilistiche, che pur avevano ottimi tecnici e progettisti che in genere restavano nell’ombra e sono tuttora sconosciuti ai più, si rivolgevano al gran campione per cercare di vincere o comunque primeggiare e trarne i conseguenti vantaggi mediatici e commerciali. Pertanto ogni azienda partecipante alla gara, e in particolare l’Alfa Romeo ma anche quelle che vendevano pneumatici o magari borotalco, avevano ben compreso quale importante leva di marketing fosse la Mille Miglia imparando subito a sfruttarne ogni possibilità promozionale. In queste azioni, particolarmente negli anni ‘20/40, l’Alfa non è mai stata seconda a nessuno sfruttando ogni suo successo sportivo per esaltare ovunque la propria immagine ed il proprio mercato avendo immediatamente compreso quale formidabile propellente pubblicitario fossero le corse. Gran parte dei suoi successi nelle competizioni e particolarmente alla Mille Miglia, dove può vantare ben 11 vittorie assolute, furono dovuti alla sagacia e alla scaltrezza di Enzo Ferrari che sin dai primi anni ’20 individuò e fece assumere dalla Casa milanese i migliori tecnici e i migliori piloti del tempo. Nel dopoguerra invece l’Alfa, che uscì letteralmente a pezzi dal terribile conflitto mondiale, non pensava certo alle corse in un paese anch’esso scombussolato e impoverito e tentò di risollevarsi costruendo infissi, carpenteria, cucine a gas e vendendo qualche obsoleta vettura sei cilindri fino agli anni ’50 quando con la nascita dei nuovi modelli quattro cilindri 1900 e Giulietta riuscì a risorgere e allargare i suoi mercati. Anche la conquista dei due Campionati del Mondo F1 del 1950 con Farina e 1951 con Fangio si deve a vetture progettate prima della guerra e da essa salvate quando il resto del mondo, particolarmente la Germania, era ancora in condizioni pietose. L’Alfa quindi, allontanato già dal 1939 Ferrari dalla sua gestione sportiva con una bella liquidazione e messe da parte le proprie ambizioni agonistiche, dal 1945 in poi mirò solo sporadicamente e con poca determinazione alla partecipazione alla Mille Miglia o addirittura alla vittoria assoluta assorbita com’era a seguire esclusivamente la produzione di serie. Le vetture da corsa, costruite quasi solo per “soddisfare” i propri progettisti non furono mai adeguatamente preparate e seguite come invece comportava una corsa tanto impegnativa. E da allora qualche vittoria o un buon piazzamento nelle classi inferiori lo si doveva soltanto a qualche pilota privato con vetture praticamente di serie.
I pronostici della prima Mille Miglia, creata dalla fervida mente di quattro personaggi assai importanti nel mondo automobilistico del tempo, Renzo Castagneto, Franco Mazzotti, Giovanni Canestrini, Aymo Maggi, e corsa nel 1927 davano l’Alfa, già vincitrice del Campionato del Mondo nel 1925 con la monoposto P2, per grande favorita nella gara bresciana. Ma ai primi tre posti giunsero inaspettatamente le più agili e leggere O.M. 665 Superba che batterono senza fatica le pesanti e ormai obsolete Alfa RLSS progettate da Merosi. Al Portello però, sottratto alla Fiat e portato, come abbiamo detto, da Ferrari, era giunto un grande e innovativo progettista, il cav. Vittorio Jano, che non era stato certo a guardare il superato tecnico Merosi e già con la P2 aveva fatto vedere di cosa fosse capace. Da allora e con lui la musica cambiò totalmente. Se ne videro le potenzialità già dal 1927 con l’esordio della piccola sei cilindri 6C 1500 Super Sport affidata a Campari.
1927, Passo della Raticosa. Posto di assistenza allestito da Enzo Ferrari per la squadra Alfa Romeo per la n. 43 di Marinoni-Ramponi (alla guida) e di Brilli Peri-Pesenti incitati dallo stesso Ferrari, all’estrema sinistra con il braccio alzato.
La 6C 1500 fu la capostipite di una serie di vetture di concezione moderna, leggere e maneggevoli, con motori brillanti e ad alto rendimento specifico ben lontane dagli imponenti carrozzoni che ancora venivano prodotti da molte case e furono le antesignane delle future e meravigliose Gran Turismo. Si rivelarono subito imbattibili; venivano chiamate “ramazze” perché in ogni competizione si portavano sempre via i premi in palio, persino in mani poco esperte. La loro gloria, la loro sublimazione assoluta avvenne soprattutto nelle corse più impegnative, quelle di lunga durata, come appunto la Mille Miglia o la Targa Florio che avevano anche una grande risonanza politica e internazionale. Con la vittoria assoluta alla Mille Miglia di Campari e Ramponi nel 1928, alla strabiliante media di 84 chilometri l’ora, l’Alfa consacrò il proprio marchio ed iniziò a costruire la propria leggenda. Le Alfa dimostrarono da subito non solo la loro velocità ma soprattutto una grande affidabilità divenendo il sogno, difficilmente appagato, di ogni automobilista. Henry Ford pare abbia detto che al loro passaggio si levava il cappello!
La 6C 1750 Gran Sport, con i suoi 100 cv, divenne l’auto da battere e da allora per le O.M., le Lancia, le Bugatti o le fragili Maserati non ci fu proprio più nulla da fare. I duelli ormai si svolgevano in Casa; mitici quelli di Nuvolari e Varzi.
Le altre case automobilistiche rimasero piuttosto sgomente dalla superiorità delle Alfa e cercarono di correre ai ripari anche ingaggiando piloti fortissimi. Jano temeva però solo le potentissime Mercedes consapevole che per le sue piccole 1750 sarebbe stato difficile spuntarla contro quelle potentissime ma anche pesantissime vetture guidate per di più dal fortissimo Caracciola che, pur sconfitte nel 1930, non avrebbero di sicuro mollato il campo. E infatti la SSKL, forte dei suoi 240 cv con un motore di 7000 cc, nelle mani di Rudolph Caracciola fece sua senza problemi la Mille Miglia del 1931. Secondi assoluti Campari e Marinoni con l’Alfa 6C 1750 Gran Sport giunti comunque con solo 11 minuti di distacco!
Brescia, 1931. La Mercedes di Caracciola, assistita sulla sinistra da un elegante Renzo Castagneto. A destra. Modena, rettilineo di San Venanzio, 1932. La Scuderia Ferrari al gran completo in trasferta a Brescia per le verifiche. Ferrari in abito scuro e berretto, dietro di lui la 1750 per la baronessa Avanzo. Vittoria clamorosa con 7 vetture ai primi 7 assoluti.
Pertanto in Alfa si accelerò la realizzazione di un motore 8 cilindri in linea, progettato ovviamente da Jano, di moderna concezione, in lega leggera, bialbero con compressore, 2300 cc con 170 cv. Nacque un’altra vettura straordinaria che, gestita dalla Scuderia Ferrari, risultò essere pressochè imbattibile in ogni tipo di competizioni per oltre 10 anni con i vari aggiornamenti, evoluzioni e migliorie costantemente apportati. Vinse anch’essa ovunque in ogni sua versione, nelle gare su strada, in pista, alla 24 Ore di Les Mans, ecc. Dal ’32 le Alfa diventarono inavvicinabili spesso in corse ove erano date perdenti esaltando così la leggenda dell’Alfa Romeo e dei suoi piloti!
L’Alfa si aggiudicò senza problemi la Mille Miglia del ’33 con Nuvolari e Compagnoni seguiti addirittura da oltre 10 Alfa nei primi posti assoluti. Nel ’34, sotto una pioggia incessante, vinse Varzi dopo un epico duello con Nuvolari, entrambi ovviamente su Alfa. Pintacuda e Della Stufa vinsero la Mille Miglia del ’35 con la P3, una potentissima vettura monoposto da Gran Premio trasformata in biposto Corsa e adattata per la gara, pur ai limiti del regolamento, grazie alla genialità prepotente di Ferrari. Numerose Alfa occupavano sempre e comunque le primissime posizioni. Le 8C furono portate prima a 2600 di cilindrata dalla Scuderia Ferrari e successivamente a 2900 con doppio compressore e varie modifiche trasformando via via queste già potenti vetture in mezzi ben lontani da quelli di produzione. E per le Alfa Romeo fu un cammino sempre trionfale. Si arrivò fino alla Mille Miglia del 1938 dove la magnifica spider 8C 2900 carrozzata dalla Touring e guidata da Biondetti con il fido meccanico Mambelli stravinse ad una media superiore ai 135 kmh, una prestazione allora assolutamente incredibile che sarà migliorata solo 15 anni dopo, nel 1953, dalla Ferrari di Giannino Marzotto.
Mille Miglia, 1935. Carlo Pintacuda e il marchese Della Stufa su P3 al Passo della Raticosa. A destra l’Alfa 8C 2900 carrozzata dalla Touring
La popolarità della Mille Miglia è dovuta non solo agli innumerevoli successi di una Casa italiana che esaltavano gli animi e l’orgoglio del Regime e della gente comune, ma soprattutto all’intuizione di quei quattro geniali organizzatori che insieme al Reale Automobile Club di Brescia aprirono le iscrizioni alla gara anche alle vetture più popolari, quelle che circolavano tutti i giorni sulle poche strade d’Italia e animavano mercato e commercio, vale a dire le vetture chiuse, le diffuse ed economiche Fiat, le raffinate Lancia, le più blasonate BMW, ecc., vetture insomma strettamente derivate dalla serie e prive di qualsiasi tipo di sovralimentazione o altri marchingegni meccanici istituendo così la Categoria Sport Nazionale. Ma anche qui l’Alfa Romeo la faceva un pò da padrona con le piccole e agilissime 1750 nella Categoria 2000; le 8C 2300 e poi le 6C 2500, pur gravate dal peso del … ferro e degli anni, nella Categoria oltre 2000, lasciando le briciole alle cilindrate inferiori. Il colpo definitivo lo si ebbe alla pur anomala edizione del 1940 (disputata sul circuito Brescia-Cremona-Mantova, Gran Premio Brescia) dove la bellissima e più potente 6C 2500 Spider Corsa Touring di Farina e Mambelli fu battuta dalla agilissima e leggera berlinetta BMW sei cilindri 2000 di Von Hanstein, carrozzata anch’essa dalla Touring. Da ricordare che in questa edizione fece la sua comparsa la AutoAvio 815 (8 cilindri x 1500 cc), prima vettura costruita da Enzo Ferrari.
Con questi strepitosi exploits si conclude praticamente la storia trionfale dell’Alfa alla Mille Miglia dove, nel dopoguerra inizierà invece quella di una vettura il cui costruttore nacque, si formò ed imparò il mestiere proprio in quella stessa azienda, al Portello, che ne costruì la sua gloria futura, quella della Ferrari. L’Alfa lasciò il campo ai privati che gareggiavano nel Turismo con le sue vetture, tutte derivate esclusivamente dalla serie, escludendo, come vedremo, qualche sporadica presenza ufficiale.
Le 2500 riapparvero, come accennato, nell’immediato dopoguerra nella categoria loro riservata, la Gran Turismo, che andava via via crescendo di partecipazione e di interesse. Nel 1947 vinse miracolosamente la 8C 2900 B di Romano-Biondetti che era più una elegante ma vetusta coupè stradale piuttosto che una vera auto da corsa.
La 8C 2900 B del 1939 di Romano-Biondetti con il suo spettacolare motore
Dal 1948, l’anno della entusiasmante e commovente corsa di Tazio Nuvolari con la Ferrari, si chiuse definitivamente il ciclo Alfa Romeo e iniziò, come abbiamo detto, l’epopea della Ferrari con la vittoria assoluta di Clemente Biondetti. E fu un peccato perché le 6C 2500 Sperimentali anziché venir affidate a volenterosi clienti e noti concessionari della Casa (Bornigia, Venturi, Bianchetti, Rol, ecc.) fossero state più seguite e meglio guidate avrebbero sicuramente portato un altro assoluto all’Alfa. Lo si capì alla Mille Miglia del ’50 quando a guidare la Sperimentale ci si misero Fangio con il collaudatore Zanardi che se non fossero stati rallentati da diverse avarie meccaniche, dovute alla scarsa preparazione della vettura, avrebbero vinto senza problemi invece di classificarsi terzi assoluti. Fantastica la vettura di Bonetto (sesta assoluta nel 1951), un’Alfa piuttosto ibrida derivata dalla Gran Premio 12 cilindri a V di 4500 anteguerra (Tipo 12C 1936), privata del compressore e carrozzata da Vignale. Più incisiva fu la presenza dell’Alfa all’edizione del 1953, l’ultimo tentativo in ordine di tempo di portare un’Alfa al vertice della gara, un successo che avrebbe fatto molto comodo come ritorno d’immagine alla Casa milanese protesa com’era a promuovere la vendita della nuova 1900 e della prossima piccola Giulietta. Furono schierate tre nuovissime e bellissime berlinette (le Tipo 6C 3000 CM) con motori da 3500 cc ed oltre 240 cv di potenza, evoluzione della 3000 Sperimentale progettati da Giuseppe Busso, e carrozzate da Colli.
Brescia, 1951. La 412 Vignale di Bonetto.
Brescia, 1953. La 3000 CM di Manuel Fangio e Giulio Sala (detto il Saletta, per la piccola statura).
Le 3000 CM erano il frutto di un progetto e di un allestimento piuttosto frettolosi, portati avanti anche un po’ in segreto perché la Direzione Generale non gradiva affatto che risorse importanti come bravi progettisti ed esperti meccanici venissero sottratti alla produzione di serie e distratti dalla chimera, peraltro assai costosa, delle corse. A dispetto di questo stato di cose e benchè la storia ci racconti oggi il contrario con il successo della Ferrari di Marzotto, le tre 3000 CM, e particolarmente la numero 602 di Fangio, furono le vere dominatrici della corsa con medie assolutamente sensazionali. Per i quattro quinti del percorso le tre Alfa, a turno, furono sempre al comando; poi un po’ la sfortuna ma soprattutto la mancanza di un vero collaudo e quindi la loro scarsa messa a punto ne causarono guasti anche banali che ne mortificarono un risultato strepitoso e ormai a portata di mano. Solo Fangio e Sala giunsero al traguardo secondi assoluti con 10 minuti di distacco dal vincitore Marzotto su Ferrari. E pensare che tutti i progettisti della Ferrari provenivano dal Portello. L’Azienda mise la parola fine alla partecipazione ufficiale ad ogni tipo di competizione per dedicare ogni risorsa alla produzione di serie e al mercato. Furono da allora per circa dieci anni soltanto i piloti privati e molti appassionati del marchio a portare in gara, su strada e in pista, in forma non ufficiale quelle stesse vetture che si compravano dal concessionario più vicino; non a caso uno slogan famoso del Portello declamava allora che l’Alfa era “la vettura di famiglia che vince le corse”! E miglior definizione non poteva esser data alla nuova Giulietta, una vera mietitrice di successi. E giusto per chiudere il racconto, così come la storia della Mille Miglia, nel 1957, l’ultimo anno della gara che infiammò l’Italia, la Giulietta Sprint Veloce del francese Martin tenne per 1600 chilometri una media di ben 126 chilometri orari impiegando nell’impresa 12 ore e 39 primi; soltanto sei ore e mezzo abbondanti in meno di quanto ci mise Campari a vincere l’edizione del 1928!
Insomma fu il mito Alfa Romeo figlio della Mille Miglia o non è stata invece la Mille Miglia a rendere leggendaria l’Alfa Romeo? Comunque sia entrambe hanno scritto molte pagine, belle ed esaltanti, dell’intera storia automobilistica, non solo italiana.
Stefano d’Amico
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