L’automobile va in guerra
All’automobile, malgrado fosse divenuta ormai femminile grazie a Gabriele D’Annunzio, come abbiamo visto, toccò comunque far cose da maschio e quindi superare la visita di leva, cosa che fece brillantemente, e, vestita così la divisa grigio verde, fu spedita anche in guerra secondo le esigenze, all’inizio per lo più coloniali, di vari paesi, particolarmente europei. E fu così che anche in Italia le nostre automobili giovinette, pur senza i virili attributi, furono imbarcate e inviate subito in Africa, un fronte non lontano ma necessario per ricostruire l’Impero e dare un posto al sole ai nostri coloni in quella che fu poi definita AOI (Africa Orientale Italiana) senza alcun riguardo né rispetto per la giovane età dei nostri mezzi meccanici.
Prima tappa in Eritrea poi in Libia nei primi anni ‘10, dove già si stavano sperimentando altre nuove invenzioni rivoluzionarie trasformate dai nostri militari per usi bellici, la motocicletta, il dirigibile e l’aeroplano. Macchine diaboliche e terribili che ovviamente suscitarono terrore tra quelle genti semplici ma bellicose abituate per millenni a usare solo asini o cammelli; un terrore solo iniziale però perché poi cominciarono anche loro a menar le mani molto bene malgrado lance e spade.
Erano giunti i tempi in cui le auto dovevano crescere in fretta e adeguarsi ad ogni tipo di servizio, ivi incluso quello militare; si cominciò quindi a parlare anche di autocarri e di autoblinda, i futuri carri armati. Gli eleganti chauffeurs cittadini diventarono gli autieri, categoria privilegiata, che godeva i favori di ogni Comando costretto a dipendere dalla loro abilità. I battaglioni automobilisti furono assegnati al Genio di cui il Generale in capo, Carlo Caneva, ben presto si accorse che le “sue” auto, utilissime in città, non erano assolutamente in grado di affrontare le sabbie dei deserti o i dirupi delle montagne.
Arrivò come sempre in soccorso l’italico genio nella persona di un brillante caporale che accoppiò le ruote motrici posteriori gemellandole, e quindi raddoppiandole, montando all’occorrenza su di esse anche delle piccole catene, offrendo così agli ancora approssimativi automezzi maggiore appoggio e presa sullo sconnesso. Furono definite “scarpe da sabbia” e il caporale ottenne in premio, a sua richiesta, un piatto di spaghetti alle vongole giunto poi in pieno deserto chissà da dove!
Le necessità sempre più impellenti delle industrie e quindi dei trasporti accelerarono rapidamente l’evoluzione e i perfezionamenti di tutti i mezzi meccanici che a loro volta rivoluzionarono le strategie e l’arte della guerra. L’assassinio a Sarajevo nel 1914 dell’Arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, erede al trono d’Austria-Ungheria, e di sua moglie Sofia fu la tragica miccia che fece scoppiare la Prima Guerra Mondiale che, a sua volta, generò un’applicazione immediata sul campo di ogni mezzo meccanico che il genio umano stava perfezionando e metteva in azione con sempre maggiore velocità per adattarlo a ogni impellente necessità militare.
Il numero degli automezzi non era però ancora sufficiente ad affrontare una guerra “mondiale” che sembrava non finire mai e si concluse nel 1918 con milioni di morti caduti sui vari campi di battaglia. Pensate alla epica Battaglia della Marna in Francia, vinta solo grazie all’eroismo dei tassisti parigini che portarono velocemente al fronte oltre 120.000 soldati che, a loro volta, riuscirono a bloccare l’offensiva austriaca; iniziativa che ebbe successo anche in Italia con la Battaglia del Piave vinta grazie anche alla mobilitazione di centinaia di automezzi raccattati faticosamente ovunque per trasportare, nel più breve tempo possibile e ove necessario, truppe e armi sui campi di battaglia.
Francia, 1914. I tassì della Marna.
L’Italia entrò infatti in guerra, la prima guerra mondiale, con solo 25.000 automezzi immatricolati in tutto il paese, tra vetture e autocarri, ambulanze comprese! Mentre in Inghilterra, all’avanguardia nel settore automobilistico, già ne circolavano oltre 80.000 e in Francia 46.000.
E poiché, come si sa, una delle caratteristiche dell’uomo, oltre all’ingegno, è anche la violenza, questi nuovi mezzi ebbero grazie alle guerre una tale e rapida evoluzione nei primi cinquanta anni del ‘900 da divenire in fretta, da semplici mezzi di svago o di trasporto, potenti strumenti militari e aggressivi. Basti pensare al ruolo che hanno avuto e hanno anche ai nostri giorni su ogni fronte bellico in terra, mare e cielo portando morte e distruzione su larga scala in tempi più rapidi e decisivi. E, ieri come oggi, chi ne ha di più e meglio ne anima gli spostamenti ha già una buona parte della vittoria in pugno. I recenti conflitti nel mondo, particolarmente in Europa e Medio Oriente ne sono una triste tragica conferma. E non sarà certo una soddisfazione sapere che tra breve saranno anch’essi superati grazie alle nuove tecnologie che la scienza sforna giornalmente in ogni settore del nostro viver quotidiano, dalla guerra batteriologia a quella elettronica.
Stefano d’Amico
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