Quando vincevano le Alfa
… e pensare che si chiamavano P2
1925. L’ALFA – Anonima Lombarda Fabbrica Automobili – giovane Casa automobilistica milanese nata dalla fallita francese Darraq si sta facendo sempre più largo a suon di vittorie clamorose nel mondo esclusivo delle corse.
Sono tempi eroici questi, fatti di grandi scoperte e di grandi imprese dovute anche alla ferma voglia di “rinascita” dopo una devastante drammatica guerra mondiale durata circa quattro anni.
Albert Einstein formula la Teoria della Relatività, Howard Carter scopre la tomba del faraone Tutankamon; Lindbergh sorvola l’Atlantico; a Roma i Ragazzi di via Panisperna (Fermi, Amaldi, Maiorana, Pontecorvo, …) danno vita a sensazionali scoperte nella fisica nucleare, mentre in tutta Italia il nuovo mezzo automobile incoraggia una moltitudine di estrosi e intraprendenti costruttori, alcuni dei quali diverranno celebri, e ovviamente … fa sempre più strada. Si inaugura infatti la Milano – Laghi, prima autostrada al mondo, e nel 1925 l’Alfa Romeo, dopo aver dominato l’anno prima in Sicilia alla Targa Florio con la RLSS-TF di Sivocci-Guatta, stravince il primo Campionato del Mondo di automobilismo con Ascari e Brilli Peri e da allora il suo stemma si circonda e si glorierà di una corona d’alloro fino agli anni ’70.
Il merito va non certo al Regime dell’epoca che promuove la propria immagine anche in automobile ed esalta la prestigiosa “italianissima” vittoria, ma a un manipolo di tecnici che ha creato una vettura eccezionale, la P2. Non è quella cui si è ispirata la loggia massone di Licio Gelli, ma un perfetto strumento di battaglia che sopratutto nelle mani capaci di piloti come Campari ed Ascari (ed anche per poco di un “certo” Enzo Ferrari) detta legge per vari anni in ogni competizione sportiva. Grazie poi alla sua brillante longevità agonistica, arriva persino a conquistare una combattuta, sensazionale Targa Florio nel 1930 con Achille Varzi facendo entrare a pieno titolo la storia dell’Alfa nella leggenda. Ma questa è un’altra storia affascinante che racconteremo successivamente …
E pensate che in Alfa non è ancora arrivato Tazio Nuvolari …
Sono veri pionieri coraggiosi e geniali quei primi tecnici, estrosi ed abilissimi, attenti a tutte le più avanzate tecnologie che i tempi propongono. Capo indiscusso ne è Vittorio Jano, “prelevato” nel 1923 da Enzo Ferrari in Fiat, dietro suggerimento di Luigi Bazzi (anche lui ex Fiat), e portato subito in Alfa dietro preciso incarico di Nicola Romeo. Ferrari già comincia a far capire di che pasta sia fatto, più come organizzatore e aggregatore di uomini che come pilota. E Jano, subentrato a Merosi, progetta al Portello tutte le più significative e vittoriose Alfa Romeo. Lo schema dei suoi motori, leggeri e potenti, come le sue auto, diventa la base di ogni successo, commerciale e sportivo, della Casa milanese fino ai nostri tempi!
La P2 è proprio una vettura eccezionale ed il suo arrivo costituisce una vera sorpresa nel mondo delle corse; ancora non del tutto a punto entra subito in azione nel 1924 al Circuito di Cremona dove batte il record mondiale dei dieci chilometri a 152 di media con punte di 195 stracciando le pur fortissime Chiribiri di Marconcini e la Bugatti di Malinverni. Scrive Canestrini: “l’argentea vettura procedeva stabilissima sul fondo non perfetto ed il canto del suo motore dava la sensazione immediata di una potenza inusitata” (non era rossa e aveva solo 140HP!!). Stravince con incredibile facilità in Francia a Lione con Antonio Ascari e diviene la protagonista del suo tempo. Imbattibile. Jano ricorderà in una intervista al giornalista Borgeson che “quel giorno ci fu l’annuncio della nascita dell’Alfa Romeo a livello delle grandes èpreuves”. Il loro esordio a Lione, che segna anche il ritiro dalle corse di Enzo Ferrari pilota, è talmente strepitoso e dirompente da metter fine alla carriera sportiva di molte auto assai blasonate. Le vetture milanesi fanno letteralmente il vuoto dietro a loro, particolarmente ai Gran Premi di Francia e d’Italia, dove alle Alfa viene dato persino l’ordine di rallentare per non umiliare ulteriormente gli avversari!
Le competizioni del tempo sono state finora appannaggio delle Bugatti, delle Sunbeam, delle Miller, delle Delage. Ma sopratutto della FIAT con le 801 e 805 GP dopo gli interventi appunto di Jano su motore e compressori. Lo smacco per la loro bruciante sconfitta (proprio da parte di Jano, ex Fiat) è tale che il Senatore Agnelli, fortemente indispettito, ordina il ritiro immediato della Casa dalle corse e la distruzione totale delle sue pur competitive vetture da Gran Premio. La leggenda dice che siano state sepolte a Torino sotto il Lingotto. La supremazia delle vetture milanesi con il loro quadrifoglio verde in campo bianco dipinto sui cofani, destinato a diventare il simbolo delle Alfa da corsa, sconvolge completamente gli equilibri fra le varie Case costruttrici e costringe la FIA nel 1926 a cambiare regolamenti tecnici e tipo di formula e quindi al ritiro dell’Alfa da questo tipo di competizioni.
Il Gran Premio di Francia a Montlery nel 1925 viene offuscato dalla morte del grande Ascari e in segno di lutto Nicola Romeo ritira la squadra mentre i meccanici ai box imballano quei potenti motori ben oltre i 6500 giri previsti in segno di estremo saluto al grande Campione. Un rombo poderoso e straziante che molti testimoni e giornalisti dell’epoca ricorderanno per anni. Luigi Fusi, collaboratore di Jano e futuro organizzatore del Museo Alfa Romeo, è tra essi, e ancora nei primi anni ‘80 ne racconterà la storia con grande emozione ed occhi lucidi.
E così il conte toscano Gastone Brilli Peri, seguito dalle altre P2 di Campari e De Paolo, regalò all’Alfa e all’Italia il Primo Campionato del Mondo stravinto a Monza lo stesso anno, in settembre. Come sempre. L’Alfa nel ’26 vendette le sei vetture P2 oltre che al giovane astro Varzi anche ad alcuni piloti privati (Campari, Brilli Peri, Kessler) e al genovese Alfredo Nasturzio che la trasformò in biposto per uso stradale (!!) con tanto di parafanghi, fanali e impianto elettrico. Nel 1930 la stessa Alfa ne ricomprò tre per iscriverle ad alcune competizioni.
Ecco l’opinione di Cino Moscatelli, tornitore al reparto Trieste nel 1926, nonchè “rivoluzionario professionale“ e, successivamente, comandante partigiano: “Io portavo sempre il distintivo dell’Alfa Romeo (…). Era un motivo di prestigio essere operai dell’Alfa Romeo, riconoscevamo che quelle dell’Isotta Fraschini erano vetture belle, veramente di lusso, da gran signori. Invece quelle da corsa, sulla pista, c’era niente da fare con l’Alfa Romeo… nessuno le batteva.”
E quel glorioso antico stemma, che già nel 1950 e nel ’51 grazie a Farina e Fangio, aveva restituito onore e plauso all’Italia e all’Alfa nel secondo dopoguerra, è ricomparso anni fa proprio sulle Ferrari F1, a romantico richiamo storico fortemente voluto da Sergio Marchionne, e da poco è anche tornato ufficialmente e direttamente in pista come sponsor ufficiale della Sauber. E persino con un certo successo. Chissà non riaccenda in futuro sopiti entusiasmi e accese tifoserie…
Stefano d’Amico
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Articolo bellissimo, che testimonia la grandezza dei tecnici e dei piloti italiani del tempo; grandezza che è importantissimo non far cadere nell’oblio generale, poiché da essa gli italiani possono e devono trarre la fiducia e la forza per tornare a progettare e costruire auto al vertice delle loro categorie. Come è accaduto recentemente con la 4C, la Giulia e la Stelvio, vetture ottime tecnicamente e affascinanti di linea. Pertanto, grazie a Stefano d’Amico per questo interessantissimo memore documento.
Luigi d’Alessandro