Quei “Quattro Pizzi” all’Arenella
In ricordo di Cecè e Silvana Paladino Florio
Nel 1840 Vincenzo Florio Sr., all’apice del fulgore delle numerose e ancora lucrose imprese di famiglia, diede incarico all’amico e architetto padovano Carlo Giachery di realizzare una elegante e moderna residenza nei pressi della sua tonnara dell’Arenella, tra Capo Zafferano e i giardini di Villa Igiea, sotto il Monte Pellegrino.
Vado sempre molto volentieri a Palermo, ma nel passato la casa dei “Quattro Pizzi” era per me una tappa d’obbligo. Era abitata da due magnifiche persone, Vincenzo, meglio noto come Cecè, e Silvana Paladino Florio, con i loro bellissimi figli e alcune anziane persone di servizio. Conoscendo le mie passioni automobilistiche, ma soprattutto quella per l’epopea dei Florio, me li aveva voluti presentare trenta anni fa un’altra cara amica palermitana, anche lei scomparsa, Elvira Sellerio, editrice colta e raffinata. I Paladino, ma particolarmente Silvana in quanto Cecè era quasi sempre in Madagascar, sono stati i veri custodi del patrimonio storico e culturale di Vincenzo Florio Jr., l’ultimo della dinastia, quello che nel 1906 si inventò la Targa. Cecè era il giovanissimo nipote di Lucie Henry, seconda e bellissima moglie di Vincenzo Florio la cui prima moglie, Annina Alliata di Monterale, morì giovanissima di colera. Lucie fu donna capace e brillante che non esitò a vendere molti suoi preziosi gioielli pur di salvare quello che fu l’ultimo simbolo e l’ultima dimora della stirpe dei Florio, i Quattro Pizzi. Cecè era quindi nipote acquisito ma prediletto di Vincenzo, che lo adottò e lo educò a sua immagine e con le stesse sue passioni, e non a caso lo nominò erede universale.
Cecè e Silvana
L’interno della dimora era, e spero lo sia tuttora, un vero e proprio museo, il tempio della Targa Florio, e non solo. Le ampie, luminose, assolate e fiorite terrazze sul mare e gli stessi balconi dalle inferriate in ghisa riccamente lavorate, opera delle Fonderie Oretea, altra impresa dei Florio, racchiudono alle loro spalle preziosi cimeli e struggenti ricordi non solo della Targa ma della leggendaria famiglia. Muovendosi sotto affreschi multicolori, in elegante e fiorito stile liberty, tra stanze e corridoi pieni di storie, di amori, dolori, passati splendori e comunque di vite intensamente vissute, tra ombre e penombre di tende svolazzanti che filtrano la luce azzurra e forte di Sicilia, hai sempre la sensazione di non esser solo e di vedere spuntare, lì dal suo studio, Vincenzo Florio con la immancabile paglietta che ti guarda sornione ma soddisfatto di essere amato e ancora ricordato.
I numerosi quadri tra il naif e il futurismo di Vincenzo Florio, appesi ovunque, dalle cucine al suo studio, semplici e luminosi, fotografie di una Sicilia scomparsa, guardano e irridono lo stupore e l’emozione del visitatore smarrito tra i ricordi e le vestigia di tanta storia ma anche di tanto fasto. Si resta sempre più sbalorditi e certo rammaricati …. rammaricati per tempi e uomini che non esistono più e non torneranno mai più.
Stefano d’Amico
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Un breve ma intenso racconto, che esprime un luogo, la Sicilia e specialmente Palermo, d’altri tempi…… con personaggi che la vissero. Il piacere saperli ricordare come hai fatto tu, non è da meno del piacere di leggerli come facciamo noi.
Giorgio Barvas