“Rapidità, Rapidità … la prima nata dall’arco teso che si chiama Vita”
Gabriele D’Annunzio, Alcyone,1902 e iscrizione alla base della Coppa dell’Oltranza.
“Zang tumb tumb … parole in libertà” ! Come declamavano con slancio e frenesia Filippo Maria Tommaso Marinetti e tutto il Gruppo dei Futuristi di cento anni fa, adoratori di una nuova affascinante divinità: la Velocità; ma cosa direbbero oggi davanti all’inquietante cosmo del web, all’amicizia virtuale, alle espressive demenziali faccine gialle sostitutive dei sentimenti, all’era televisiva e ossessiva, ad una cultura sempre più frettolosa e decadente che attanaglia ormai le nostre vite e l’intera umanità perennemente connessa.
Aumentano le nevrosi e si perde la memoria; cambiano i codici dei rapporti e delle relazioni personali sempre più improntati sulla ipervelocità e il pressapochismo. Grandi città e grandi solitudini cui il web porta riferimento e sollievo.
Milan Kundera sostiene che la velocità è la forma di estasi che la tecnologia ha regalato all’uomo. A me sembra però di non essere molto in estasi e di non aver più un tempo. Dov’è finito il mio tempo ? Eccolo, è qui ma già non c’è più; oggi lo vivi, non lo percepisci e lo dimentichi; è frammentato e accavallato con e fra duemila cose; leggo i soli titoli dei giornali, passo oltre, non mi fermo, non guardo, non vivo …. ma mentre guido la mia auto, ancora meglio se d’epoca, chiuso nel suo abitacolo esclusivo, ne sento invece i rumori e ne apprezzo i valori. Le strade scorrono davanti a me, come gli alberi, le emozioni, i pensieri. Lontano dal web e dalle e mail incalzanti. Parlo con mia moglie, ne condivido sensazioni e sentimenti, ci guardiamo il mondo intorno e viviamo il nostro tempo. Un troppo breve tempo.
Ma come facevo a conoscere a memoria i numeri telefonici di tutti i miei amici o le targhe delle loro auto ? Le poesie di Pascoli e Carducci, i dialoghi di Luciano e persino interi capitoli dei Promessi Sposi. Ora leggo un libro e dopo un po’ non me ne ricordo più. Forse non avrò più il cervello o tanto meno il fisico per andar così veloce ma quanto adoro quel vivere in campagna, con i tempi lunghi, quieti e usuali, quando magari all’improvviso manca la luce, si spenge tutto, e tace anche il cellulare ! e resto così con me stesso a godere il mio tempo. E “m’arricrìo”, risorgo, come si dice in Sicilia. O piove a dirotto, all’improvviso e con violenza, come in questa strana insolita estate, e nel mio intimo ne provo piacere perché condivido la ribellione di una natura aggredita e stanca dall’indifferenza e la miopia dell’uomo moderno, informatico e globalizzato. Senza più neppure i ponti, monumentali e cadenti, riusciremo a rallentare il nostro inutile correre, per non fuggire e riscoprire il nostro tempo ? Che è sempre più breve.
Stefano d’Amico
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