Ritrovato un barchino d’assalto della Decima Mas
Questo il titolo di un articolo di alcuni anni fa comparso sul Piccolo di Trieste. Un bel pezzo di storia e di eroismo, purtroppo dimenticati, della nostra marineria, ma anche della genialità italiana e dell’Alfa Romeo.
“Lo avevano usato più di settanta anni fa i marò della decima Mas in disperati e temerari colpi di mano contro la flotta britannica. […] La prua svettante, lo scafo in legno, il motore Alfa Romeo, le due eliche controrotanti del piede poppiero mobile per superare gli sbarramenti dei porti, il primo nella storia della marineria”. Il “barchino”, o meglio l’M.T.M. (Motoscafo Turismo Modificato, o semplicemente emme per quelli dell’ambiente) in guerra portava a prua otre 300 chili di esplosivo ed era stato concepito per infrangersi alla massima velocità contro la nave presa di mira. E il pilota, direte voi? Il pilota, o meglio il quasi kamikaze di turno, era uno dei duecento della Decima il quale negli ultimi metri di corsa a oltre 60 km orari, bloccava il timone e azionava il seggiolino eiettabile, abbinato ad una zatterina, che lo lanciava in mare. Non andò sempre bene. Ma il motto della Decima era “Patria e Onore” … Noi piccolissimi vogliamo colpire direttamente nel cuore e in ciò che costituisce il vostro maggior orgoglio …
Il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga in occasione della consegna della bandiera di combattimento a COMSUBIN (Comando Subacquei ed Incursori) nel 1991 disse “… circa 200 uomini che servivano nei mezzi d’assalto subacquei e di superficie affondarono o resero inutilizzabile oltre il 38% del naviglio militare avversario e il 15% di quello mercantile … “
Questo barchino ritrovato a Trieste fu del reparto del Comandante Junio Valerio Borghese e nei primi anni del dopoguerra fu modificato dai militari inglesi, eliminando ovviamente la carica esplosiva, in un turistico e comodo quattro posti con parabrise ed usato vari anni per diporto. Ribattezzato Cicala, restò poi in uso del Genio Civile per il controllo delle strutture portuali fino ai primi anni ’60 con il suo brillante motore Alfa sempre potente e perfetto per essere infine abbandonato e dimenticato nei magazzini del Porto Vecchio. Ora è al Museo del Mare di Trieste. Nuovamente abbandonato ed in attesa di un restauro che probabilmente non avverrà mai.
Ma la storia degli M.T.M. è davvero affascinante. Nel 1935, nel pieno della crisi etiopica, quando, con la dislocazione nel Mediterraneo di molte navi da guerra inglesi, i rapporti italo-britannici sembravano aver raggiunto il punto di rottura, nacque l’idea di motoscafi veloci esplosivi, trasportati da idrovolanti. Essa era stata concepita dal Duca Amedeo di Savoia, Generale di Squadra Aerea, che la sottopose al fratello Aimone, Ammiraglio di Divisione, che a sua volta la rese tecnicamente attuabile. Il momento era di grande tensione internazionale, particolarmente in Italia (le inique sanzioni) e la Marina, come peraltro le altre Armi, erano alla costante ricerca di ogni tipo di nuova arma che potesse colmare o almeno ridurre il forte stato di arretratezza e obsolescenza delle nostre forze armate.
Sin dai primi esperimenti sorsero notevoli problemi di adattamento degli aerei al trasporto dei motoscafi, per cui si affidò ai Cantieri Baglietto di Varazze la progettazione e la costruzione di alcuni prototipi autonomi. Lo scafo, che subì nei vari collaudi numerose e significative modifiche, era in legno con carena a spigolo con due paratie interne che alloggiavano sia il motore Alfa Romeo 6C 2500 da 90HP a 4400 giri, simile a quello ausiliario dei M.A.S., sia i serbatoi benzina. Aveva un’autonomia di 80-85 miglia ad una velocità di 32 nodi (circa 60 kmh!). Questo motore, trasformato per uso marino, moderno, leggero e potente, derivato dalla serie automobilistica, era ai vertici della tecnologia del tempo come lo erano gli organi di trasmissione e due le eliche coassiali controrotanti (per consentire maggior stabilità e direzionalità a timone bloccato) il cui piede poppiero era ribaltabile a comando del pilota per superare eventuali sbarramenti dei porti. Un brevetto geniale, in uso tutt’oggi, partorito dalla C.A.B.I. di Milano (Ing. Cattaneo), ma allora coperto dal segreto militare, che, a guerra conclusa e persa, fu “prelevato”, come altri brevetti italiani divenuti preda di guerra, dagli alleati vittoriosi, dagli Stati Uniti alla Svezia, e, in questo caso, fece appunto la fortuna della svedese Volvo Penta. La carica di scoppio, a prua, era costituita da 330 kg. di Tritolital mentre a poppa erano sistemate altre piccole cariche esplosive che, al momento dell’urto contro la fiancata della nave nemica, azionate da un dispositivo meccanico (“palmola”), anch’esso a prua, esplodevano tranciando lo scafo in due parti. La parte prodiera con la grande carica affondava ed esplodeva sott’acqua ad una profondità prestabilita ottenendo il massimo effetto distruttivo proprio sotto la carena dell’unità attaccata. In caso di mancato funzionamento del congegno, l’esplosione avveniva comunque appena la carica toccava il fondo generalmente basso dei porti. Il collaudo definitivo e più significativo dei barchini avvenne all’Idroscalo di Milano il 1° marzo 1941.
E torniamo al temerario pilota! Il suo catapultamento in mare, in piena velocità, tra i 100 e i 200 mt dall’obiettivo dopo aver bloccato i comandi, era ottenuto mediante lo sganciamento di uno speciale galleggiante a zattera che costituiva il suo schienale sul barchino. Il pilota, in tuta da sommozzatore, raggiungeva a nuoto la zattera sdraiandosi su di essa anche per cercare di limitare la forza dell’onda d’urto dell’esplosione e poi … e poi alzava le mani sperando magari di non farsi sparare addosso, se non lo avevano già fatto prima!
La loro prima azione in combattimento avvenne a Creta, alla base britannica di Suda, il 25-26 marzo 1941 dove furono affondati l’incrociatore York e la petroliera Pericles. L’incursione di Malta invece, nel luglio del ’41, effettuata con i primi prototipi dei barchini (M.T.) fu un totale insuccesso causato dal loro immediato avvistamento con i nuovi radar e dalla instabilità su mare anche leggermente mosso degli stessi. Altri tentativi (alla Valletta e Malta) ebbero analoghi insuccessi che causarono un freno al loro utilizzo in azioni di sorpresa. Alcune eroiche azioni di guerra degli M.T.M. vennero ancora effettuate nel 1944-45 dalla X Flottiglia M.A.S. della Marina della Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.) contro unità anglo-americane. Molti piloti perirono nelle azioni, particolarmente alla Valletta, tutti medaglie d’oro, altri furono presi prigionieri altri, pochi, tornarono a casa. Di questi barchini ne sopravvissero diversi, a differenza dei loro piloti, perché il loro utilizzo in combattimento si rivelò un fiasco totale, soprattutto a causa dei radar, con un inutile spreco di vite e di energie. Subito dopo la guerra furono demilitarizzati ed alienati, anche nei campi A.R.A.R. (Azienda Rilievo Alienazione Residuati), per essere poi trasformati in veloci motoscafi da diporto e … contrabbando.
Stefano d’Amico
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